Leon
di Luc Besson - Francia 1994 - 1h 45'

  

"Leon - Che nome cazzuto". Il nuovo film di Luc Besson va dritto al sodo, con la stessa sfrontatezza delle parole della sua piccola protagonista, Matilda. La sua ingenua baldanza, il suo sguardo sprezzante ed indifeso insieme (straordinaria l'esordiente Natalie Portman) sono ciò che scompaginano la regola esistenziale di Leon (Jean Reno, altro interprete eccezionale, attore-feticcio di Besson), killer solitario dal look clochard, macchina sterminatrice con una sua etica ("niente donne e bambini") ed una precisione esecutiva che incombe come una furia divina.
Con lo stesso impeto Besson "atterra" nello spazio vitale dei suoi protagonisti: le sequenze iniziali seguono la macchina da presa in un percorso "aereo" che solca il cielo, sorvola il mare (l'oceano? questo è il primo film americano del regista francese), imbocca a ritmo vertiginoso le strade di New York per catapultarsi in una squallida trattoria di Little Italy ed avvinghiarsi in primissimo piano ad una mano che stringe una sigaretta, alle labbra che aspirano il fumo, all'immancabile tazzina di caffè. Oggetti di una delle tante conversazioni con cui Leon riceve da Tony (Danny Aiello) un suo contratto "di pulizia". Vederlo all'opera o, meglio, intuirne la presenza mentre, sicario invisibile, esegue il suo incarico è un'occasione per riscoprire la mano sicura del cinema di Besson (ricordate Nikita?), ma l'originalità del suo nuovo lavoro sta negli spazi morti dell'azione, nella quotidianità del suo killer che vive in totale solitudine, non manca di bersi i suoi due litri di latte al giorno, dorme su una poltrona senza concedersi mai il piacere di un vero sonno, usa il materasso solo per gli esercizi ginnici del mattino, pulisce con cura maniacale il suo necessaire da assassino professionista, accudisce con amorevoli attenzioni una piantina verde ("E' la mia migliore amica, sempre felice, nessuna domanda. Ed è come me, senza radici"). In questa vita perfetta di travet del cinismo metropolitano s'inserisce la vicenda di Matilda che vede la sua famiglia sterminata da poliziotti-gangster senza pietà e che trova in Leon l'unico rifugio possibile, consolatore ed "educatore" per la sua precarietà di ragazzina sbandata ("La vita è così dura solo quando si è bambini?"), amico e "maestro" di tecniche e filosofie di sopravvivenza e vendetta. Non procediamo oltre nel coinvolgimento affabulatorio per lasciare voce all'emozione della sorpresa o del ricordo, ma non è togliere forza alla suspense precisare che Leon non potrà non risolversi in un'orgia visionaria di fuoco e sangue... Eppure, all'interno di un meccanismo narrativo collaudato, la verve devastante di Besson abbacina lo sguardo in un gioco "amorale" in cui la morale esce con prepotenza fino a rischiare la retorica: non vincono gli eroi perché di eroi non ce ne sono più, ma non vincono neppure i malvagi perché, inesorabile, la catarsi delle fiamme non può che avvilupparli; mentre al subdolo campare di Tony resta come controparte solo una vita chiusa in un guscio, rintanata tra certezze da usuraio.
Come in una parabola laica allucinata, amaramente iniziatica, il rapporto generazionale tra Leon e Matilda si evolve in reciproca maturazione, ma un'educazione sentimentale completa necessita di vittime sacrificali e di iterate, sofferte esperienze. L'excipit del film è ancora una volta un movimento "aereo", con la macchina da presa che apre l'inquadratura lasciando in campo lungo Matilda, finalmente immersa nell'ambiente "giusto", pronta ad affrontare la vita, ad occuparsi della piantina che l'amico le ha affidato.
Con la sua degradazione sanguinaria e i suoi rimpianti esistenziali Leon pecca ora di grevità granguignolesche, ora di ingenuità romantica, ma la sua contraddizione è testimone del tempo. Segno di un cinema (europeo) che emulando il professionismo USA corre sul filo del rasoio di un'identità sempre più ambigua; raffigurazione post-moderna di una società sovreccitata, afona di sentimenti e vaccinata alla violenza: con i suoi tutori dell'ordine "dopati" ("amo questi momenti di quiete prima della tempesta"), i suoi adulti insicuri e misogini ed i suoi adolescenti "mutanti", tra urgenze d'affetto e rancori vendicativi, tra turbe da vagabondaggio e bisogno di radici sicure.

e.l. (perTerza Pagina maggio 1995)