"Da qualche parte nella tundra".
I Leningrad Cowboys sono un gruppo scadente di musicisti popolari che
decidono di tentar fortuna in America. E' una band scalcinata e bizzarra,
con un stile rock tutto da definire, duro e contaminato, tra il metallico
e il melodico, strampalato come il caravanserraglio che da New York si
dirotta verso il Messico (qualche ingaggio per le feste di matrimonio !):
uno strano personaggio (Igor, una specie di scemo del villaggio) li segue
clandestinamente fin dalla partenza dall'Unione Sovietica, il prepotente
manager Vladimir tiene tutti a razioni ridotte (ma si concede cibo e birra
in abbondanza), al loro seguito "viaggia" in una bara il nono componente
della band, congelato per essersi attardato all'aperto di notte a provare.
L'evolversi del racconto prosegue in questa linea di demenzialità
finlandese, con Igor che si aggrega al gruppo, l'amico congelato che torna
in vita grazie ad una bottiglia di liquore locale, Vladimir che se ne va
di nascosto mentre i Leningrad Cowboys si apprestano ad occupare i vertici
della classifica messicana. Ma ciò che conta è il rivelarsi, tra i suoni
fragorosi della band, dello stile altrettanto fuori del comune di Kaurismaki, pieno di humour e di stramberie, di sogni stravaganti e di
illusioni perdute. Nell'incoscienza dei protagonisti spunta una vena di
amarezza, nelle parole del regista si ribadisce la sua scanzonata voglia
di demistificare il proprio stesso lavoro, sicuro che la forza delle
immagini vale più di qualsiasi dichiarazione!
A.K.
"Avevo in mente la prima sequenza e
l'ultima, tutto il resto l'ho improvvisato. Ci mettevamo in viaggio
e se vedevo qualcosa di interessante ci fermavamo. Io entravo in un
bara mentre la troupe aspettava fuori all'angolo. Mi prendevo un
birra e col barista parlavo del tempo. Poi dicevo: le dispiace se
giriamo una scena qui nel bar? Quello rispondeva: Yeah. Io andavo
alla porta, facevo un fischio e arrivavano trenta persone..."un film
incentrato sulla pazzia del mondo contemporaneo, sulle alienazioni
che ci siamo abituati a subire, ma che giorno dopo giorno ci
annientano, ci distruggono. E' il pi drammatico e tragico dei miei
film, rappresenta in un certo senso la conclusione della mia
trilogia, la completa perdita di speranza. E' la conclusione tragica
a ribaltare le regole del film che testimonia le fine dei sogni, la
morte, la rovina, la distruzione, la disperazione degli uomini che
vivono alle soglie del terzo millennio" |
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