A
quattro anni di distanza la Delaporte torna dietro la macchina da
presa e lo fa mantenendo salda e intatta la propria idea di cinema:
minimale, radicalmente ancorata alla realtà, con il minimo dispendio
di parole e una forte intensificazione del gesto, del respiro, del
movimento di sguardi e delle forti e trattenute tensioni emotive, e
avvalendosi dei due medesimi attori del film precedente. Ciò che si
aggiunge in
Le dernier coup de marteau
è la presenza di di un ragazzo, Victor, di lì a poco quattordicenne,
il quale non ha mai conosciuto il padre e vive con la madre gravemente
malata di cancro in una roulotte vicino al mare, nella Camargue.
Quando entra per la prima volta al teatro dell’Opera di Montpellier
non sa nulla di musica classica.
Né
sa nulla riguardo suo padre, Samuel Rovinski, che si trova lì per
dirigere la sesta sinfonia di Mahler. Per cambiare il corso del suo
futuro, improvvisamente incerto, per sua madre Nadia, per Luna, la
ragazza di cui si è innamorato, Victor decide di uscire dall’ombra e
di trarre il meglio dalle opportunità che ha trovato sul suo cammino.
Con il cuore rivolto al Doinel truffautiano, la Delaporte si addentra
oltre la soglia dell’apparente imperturbabilità adolescenziale,
seguendo con delicatezza tattile e aggraziata empatia la brusca
richiesta della vita a crescere e soffrire. La regista nasce come
reporter e documentarista e l’impronta per una visione naturalistica è
evidente nella messa in scena: è forte il debito nei confronti dei
fratelli Dardenne, capostipiti di un forma sempre più utilizzata e a
volte abusata, ma in questo caso stemperata in favore di un’intimità
meno cupa e drammatica e più intimistica e solare.
Il titolo fa riferiremo a quanto fece Mahler, eliminando l’ultimo
colpo di martello dalle ultime versioni della sinfonia perché lo
considerava un presagio negativo dei futuri drammi. E la centralità
della musica è l’elemento davvero connotante del film, soprattutto in
relazione al rapporto padre e figlio. La musica non è qui subordinata
alle immagini ma, al contrario, utilizzata senza scopo ornamentale e
con un preciso e peculiare valore narrativo intradiegetico, Attraverso
il linguaggio della musica e il lavor(i)o della sua composizione,
viene a formarsi un sentimento nuovo nella costruzione del progredire
del ragazzo: egli infatti scopre il valore della figura paterna per
mezzo della sapiente manipolazione delle note compiuta dal maestoso,
arcigno ed oscuro direttore d’orchestra. La musica prende il posto
delle parole non dette tra i due, e il ragazzo intravede un
cambiamento possibile.
Il protagonista, interpretato da Romain Paul, alla sua prima
esperienza davanti alla macchina da presa, da subito favorito, ha
meritatamente ricevuto il premio Marcello Mastroianni come miglior
attore emergente per la sua intensissima interpretazione. Alix
Delaporte ha dichiarato a proposito: “Con lui volevo sentire
l’assenza di un padre e la paura di perdere una madre. Volevo scoprire
con lui la musica classica e immergerlo in un’orchestra nel mezzo
delle prove. Ma quello che più mi interessava era portare questo
ragazzo a provare la sua prima emozione artistica”. Ed è proprio
questa emozione che riesce incredibilmente ad emergere oltre lo
schermo.

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