Juha
è un film muto, o quasi. Aki Kaurismàki
precisa: è l'ultimo film muto del secolo. Dunque? Dunque, commentano
alcuni, si tratta d'un bel gioco, ma fine a se stesso. Per altri, invece,
nella scelta inusuale dell'autore finlandese s'esprime una visione, se non
del mondo, certo del cinema. C'è chi, addirittura, intende la storia dei
due contadini Juha (Sakari Kuosman) e Marja (Kati Outinen) e del perfido
straniero Shemeikka (André Wilms), che viene dalla città, come la metafora
d'una ormai antica corruzione. Juha (Sakari Kuosman) e Marja (Kati Outinen)
sarebbero il cinema (ancora senza parole, e per questo ricco
d'espressione. Shemeikka (André Wilms) sarebbe invece l'innovazione
immorale e crudele della colonna sonora e del parlato...
Quello che davvero ci interessa è Juha: il suo gioco, la sua espressività,
la sua innocenza che si mostra sui volti e negli sguardi dei personaggi,
dei "buoni" e dei "malvagi". E poi ci interessa il suo tempo narrativo,
che non sta in alcun tempo realistico; in quali anni si svolge la vicenda,
negli anni 50, nei 60, o in un'epoca del tutto immaginaria? Insomma, ci
interessa il cinema di Kaurismaki, sempre imprevedibile e sempre geniale.
che s'affidi alla parola o che non le si affidi. Per altro, non è del
tutto vero che il suo film sia muto. Intanto, c’è un commento musicale che
é quasi altrettanto decisivo delle immagini. Ne è autore Anssi Tikanmaki,
chi ha anche composto nuovi accompagnamenti musicali per
La corazzata Potémkin
di Sergej Ejzenstein (1926) e
Greed
di Erich von Stroheim (1924).
E poi ci sono, qua e là tra le immagini, rombi di motori (la moto di Juha
e l'auto di Shemeikka), un colpo di clacson, rumori d'oggetti urtati o
percossi, le parole e la musica di Le temps des cerises, due spari, il
sonoro realistico di un'intera inquadratura (quella in cui Juha affila la
scure con cui farà la sua vendetta). Ben lontano da ridurla a un bla bla
che spieghi tutto, Kaurismaki fa dunque un uso raffinato dell'espressività
sonora. Costringendola al minimo, immergendola in un generale silenzio,
finisce per darle un valore specifico, un "ruolo" di primo piano. D'altra
parte, del cinema muto in Juha si ritrova il pathos. Le luci
orientate riempiono l'inquadratura d'ombre addirittura più intense dei
corpi che le producono. Sui volti degli attori si fissano sguardi univoci
ed estremi, tesi nello sforzo di comunicare sentimenti egualmente univoci
ed estremi. E ancora: immagini e azioni "radicali" caratterizzano i
personaggi per così dire in assoluto (assolutamente malvagio è Shemeikka:
a dimostrarlo basta appunto il suo piede che, senza motivo, schiaccia una
farfalla).
Qual è il senso di questo gran gioco del cinema, raffinato e vivo? A noi
pare sia quello di tutta l'opera di Kaurismaki: l'invenzione d'un mondo
abitato da cose elementari e necessarie come la l'eticità e il dolore,
l'amore e il disamore. E con uno sguardo colmo di compassione e di ironia.
Kaurismàki non perde occasione per distanziarsi da quel che racconta,
forse anche per tenerne a bada l'immediatezza emotiva. Questa è la
grandezza di Juha. Non si tratta solo né soprattutto della sua
genialità, e neppure delle sue raffinate citazioni indirette o dirette (un
cenno a Sam Fuller. su una lavagna, per esempio, o a Luis Bunuel, con un
manifesto capovolto di Nazarin). Si tratta invece d'una "ingenua",
dolcissima capacità di partecipare all'umanità dei suoi personaggi. Una
capacità, ancora, che nel cinismo volgare di fine secolo è più inusuale e
anche più promettente per il cinema di qualunque ritorno a una sua pretesa
essenza.
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