da Il Messaggero (Roberta Bottari) |
Una piccola comunità di uomini, donne e bambini, arriva sulle coste meridionali dell'Iran. Non hanno nessun mezzo di sussistenza, né una casa a cui tornare: la povertà li assedia e mangia loro le carni come fosse lebbra. Disperati, si insediano su un cargo abbandonato in mare aperto: una vecchia petroliera nel Golfo Persico. Li guida il capitano Nemat, un leader forte e carismatico, che coordina (e ordina) tutte le attività della nave e delle persone che la abitano. Un padre-padrone che controlla le vite degli altri in modo totale: i giornali spariscono, l'antenna per la tv viene buttata e contro chi non vuole assoggettarsi alle regole c'è solo il pugno di ferro. Ma la routine viene stravolta da una notizia: il cargo rischia di colare a picco. Sarà Nemat a decidere per tutti e, a ribellarsi, ce la faranno soltanto in due: il figlio adottivo, che per amore infrange le regole, e un bambino... L'Isola di Ferro di Mohammad Rasoulof è un film metaforico e realistico al tempo stesso, che analizza una comunità influenzata dagli abusi di potere. Il regista descrive magistralmente speranze, sottomissioni, ingiustizie, tradimenti e violenze, usando la macchina da presa in modo lineare e mai pietistico. E dà vita a un film incredibilmente solare e carico di speranze, nonostante il tema, che emoziona e costringe gli spettatori a porsi domande non facili. |
da L'Unità (Alberto Crespio) |
Se
nel corso degli ultimi 15 anni vi siete innamorati del cinema iraniano,
L'isola di ferro è imperdibile. Se nel corso dì questi medesimi anni il
cinema iraniano vi ha rotto le scatole (non abbiate paura a dirlo, siete
in tanti) L'isola di ferro è altrettanto imperdibile perché è il film che
vi convincerà definitivamente delle vostre ragioni. Diretto da un 33enne
al secondo film, questo lavoro coraggiosamente lanciato nelle sale dalla
Lucky Red in giorni di overdose calcistica è una sorta di summa del cinema
di quel paese. Ora, voi sapete bene che in Iran c'è un regime, una
teocrazia feroce che fa un uso «intermittente» della censura, un po' come
ai tempi della vecchia Urss o della nuova Cina: ogni tanto permette ai
registi di lavorare, ogni tanto li costringe al silenzio. In questa
situazione, i film finiscono spesso per assomigliare ai vecchi classici
del cinema sovietico: sotto la crosta realistica si nascondono parabole
politiche, messaggi nella bottiglia lanciati al mondo e a chi ha voglia di
decifrarli.
L'isola di ferro è, in questo senso, esemplare. Un'allegoria
persino troppo chiara, tanto che non si hanno (al momento) notizie
sull'uscita in Iran: anche individui poco raffinati come gli attuali
governanti di Teheran avranno capito con una certa facilità che il film
parla di loro.
L'isola di ferro è una nave. Una petroliera abbandonata
sulle rive dei Golfo Persico. A bordo, vive una comunità di persone che si
è rifugiata lì in cerca di una casa, e che ha ricreato le stesse assurde
leggi della terraferma. Ci sono quindi padri tradizionalisti che impongono
il burqa alle figlie, donne che si ammazzano di lavoro, intriganti che se
la cavano sempre, un maestro che tenta invano di insegnare qualcosa di
sensato ai bambini.., e naturalmente c'è un capo, che non è un ayatollah
ma gli somiglia parecchio. Un capo che è l'unico ad andare ogni tanto a
riva, che decide tutto per tutti, che porta al maestro solo i giornali di
qualche mese prima (meno notizie arrivano dal mondo, meglio è), che
procura i mariti giusti alle ragazze nubili e che a un certo punto decide
di vendere la nave pezzo dopo pezzo a dei mercanti di ferraglia. Del
resto, il maestro gliel'ha detto chiaro e tondo: la nave ha delle falle,
presto affonderà: ma è meglio che la gente non lo sappia, e creda che la
vendita sia per il loro bene. Solo un bambino, che tutti chiamano
ragazzo/pesce, si rifiuterà di tornare a terra e rimarrà in mare, da
solo... |
i giovedì del
cinema
invisibile
TORRESINO
gennaio-marzo 2007
PRIMA VISIONE
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