Io
ballo da sola (Stealing
Beauty) |
Bertolucci o dell'ostentazione. L'enorme successo
di critica e pubblico che sta accompagnando l'uscita italiana di Io
ballo da sola rischia di consacrare a film-evento una nuova maxi-esibizione
d'autore, cresciuta con complice entusiasmo promozionale di stampa (il
maestro che torna alle "piccole cose" della sua terra) e censura
(gli spot inibiti in prima serata televisiva). Il tocco delicato, il
respiro lieve di un diario intimo per immagini costituiscono il look
critico che accompagna l'esplosione dei consensi attorno a questa storia
garbatamente morbosa, che concentra attenzione e sguardi (dei personaggi,
del regista, del pubblico) sulla sulfurea bellezza, sulla sensualità
giovanile di Lucy. Il suo approdare sulle colline senesi è frutto di
un intrigante caleidoscopio di motivazioni: una vacanza tra gli amici
di famiglia, il posare come modella per una statua, un'indagine sull'identità
del proprio padre naturale, il ritrovarsi con un ragazzo italiano che
l'ha baciata quattro anni prima... L'inesperienza
sentimentale della ragazza, la sua solare avvenenza e la sua "scandalosa"
verginità turbano la forbita congrega pseudo-intellettuale che costituisce
il nucleo della piccola comunità: artisti, ospiti e parenti, giovani
amici e scrittori malati. Ecco, ci sono in Io ballo da sola alcuni
squarci "individuali" di indiscusso spessore: memorabile la
figura disegnata da Jeremy Irons, condannato da un tumore, funereo campione
dell'"incredibile frivolezza dei morenti"; amabile il personaggio
di Sinead Cusack, che proprio nei duetti con Irons (suo marito nella
vita), raggiunge i momenti interpretativi più intensi; lussureggiante
lo spensierato protagonismo delll'esordiente Liv Tyler (diciannove anni,
figlia del cantante degli Aerosmith), simbolo di una grazia giovanile
a tutto tondo, dolce e provocante. E restano, significative, alcune
sequenze: quella d'apertura, segnata da un un video amatoriale che accompagna
- con finezza metalinguistica - l'entrata in scena di Lucy; quelle retoriche,
ma sagaci nel loro effetto "discorsivo", che materializzano
sullo schermo la grafia della ragazza mentre si cimenta in brevi sprazzi
poetici; la scena del suo scatenato danzare a ritmo di rock che motiva
il titolo italiano (quello inglese - Stealing Beauty, "rubando
la bellezza" - stigmatizza, più sfacciatamente, l'essenza voyeristica
dell'opera). La mano di Bernardo Bertolucci è insomma di evidente efficacia,
specie nelle scelte formali (l'accattivante colonna sonora, la superba
fotografia di Darius Khondji), ma dove sono la grinta autoriale de La
strategia del ragno, la suggestione d'atmosfere de Il conformista?
Dopo scandali, maximelodrammi e colossal da oscar, Bertolucci cerca di rintracciare
una purezza espressiva che ormai non è più nelle sue corde, la magniloquenza
gli prende la mano, la futilità snobistica ha una sua corposità ingombrante.
E' sintomatico comunque come l'aura del racconto iniziatico-virginale abbia come non mai toccato nel vivo un pubblico plurigenerazionale, ma tra sguardi estatico-sensuali e pose marmoree-estetizzanti, tra Billie Holiday e Mozart, tra incerti pruriti post-adolescenziali e passioni adulte mai sopite, Io Ballo da sola ha il sapore melenso di una Dallas degli spiriti colti, arroccata tra le colline toscane anzichè tra i pozzi petroliferi del Texas, ma ancora una volta elitaria e vacua, paternalistica e autocompiaciuta. e.l. (perTerza Pagina - maggio 1996) |