Highlander - L'ultimo immortale
Russell Mulcahy - Gran Bretagna 1986 - 1h 56'

  

      Il cinema degli anni 80 sembra vivere di frammenti filmici piuttosto che di opere cinematografiche compiutamente valide. Appaiono talvolta i grandi film che fanno storia e che delineano immancabili personalità autoriali, ma più spesso si incontrano registi (film-makers) che più che artisti dell'immagine o affascinanti narratori di storie si potrebbero definire screen-makers: costruttori di film a tutto schermo che saturano il loro prodotto di immagini, suoni, personaggi che tengono ritmo con sicurezza e qua e là esplodono in brani cinematografici a tutto tondo, in momenti di grande maestria ed efficacia, in sequenze che restano impresse, ora nello stomaco, ora nel cuore, ora nella mente. Con Highlander il coinvolgimento di cuore resta lontano dal realizzarsi, ma fin dall'inizio le musiche dei Queen sono un pugno nello stomaco ed i virtuosismi della macchina da presa inebriano la mente per la indiscussa intelligenza scenica di Russell Mulcahy: la skycam (cinepresa volante teleguidata) volteggia sull'affollato Madison Square Garden fino a planare tra la gente, abbracciando nel campo visivo il volto del protagonista. E' una sequenza di grande effetto, ma è solo la prima di una serie di sferzate emotive che Highlander riserva allo spettatore: basta che Conner MacLeod-Christopher Lambert scenda nei sotterranei-autorimessa del Madison perché il plot narrativo scateni tutta la sua suggestione ed il suo impatto. Nel garage, spada alla mano, MacLeod ingaggia un cruento duello 'fuori dal tempo' finché riesce alfine a decapitare il suo avversario. E' un rito di morte che si tramanda da secoli poiché egli altro non è che uno degli immortali, uomini-semidei che, paladini dell'eterno conflitto tra il bene e il male, si affrontano in un presente che non ha mai fine, annientati solo dal drastico colpo mozzatesta. Conner MacLeod ha iniziato la sua storia nelle Highland scozzesi ed ha perpetuato il suo essere di secolo in secolo, vedendo invecchiare e morire accanto a sé amici e nemici. Solo gli altri immortali come lui sopravvivono al tempo e Kurgan-Clancy Brown, violento e orrido (una cicatrice ricucita con spille da balia gli solca la gola) è il campione del male che già altre volte ha dovuto sfidare, ma che ora lo cerca per lo scontro finale che il fato ha fissato proprio per il XX secolo, città di New York. Attraverso il flash-back passato e presente si accavallano di continuo, si affrontano quasi con lo stesso impeto che anima i contendenti. Peccato che in questa osmosi tecnico-narrativa ciò che non trova compiutezza sia proprio la vena nostalgico-sentimentale che Mulcahy, proveniente dalla scuola 'popolare' della video-music, sente come una necessità e che prova invano a delineare nel conforto dei personaggi femminili, nel languore un po' endemico dello sguardo di Lambert. Tutta veemenza e scarso intimismo, Highlander gioca fino in fondo la carta dell'effetto speciale e in chiusura lo schermo balena di suoni e lampi che certo lasciano il segno nella memoria cinematografica. Eppure, tra l'antica epicità del racconto e il roboante impatto del mestiere tecnologico, poco resta 'nel cuore' se non l'impressione di una macchina-cinema programmata a perfezione, incalzante e splendente ma al contempo troppo 'costruita' e ripetitiva: proprio come la calligrafia di MacLeod che, pur artefatta in più firme nel corso dei secoli, rimane inequivocabilmente uguale a se stessa.

ezio leoni - Cineforum in CARCERE  marzo 1994