Nessuno
dei personaggi ha un nome: ci sono due gemelli, una nonna, una madre e un
padre, un ufficiale tedesco e poi un parroco, una fantesca, un calzolaio e
così via. Ciò ne rende ancora più evidente il carattere di fiaba nera: un
racconto di formazione che, però, segue regole tutte sue, crudelmente
darwiniane e tutt'altro che consolatorie dove l'ingresso nell'età adulta
ha forma d'incubo. (...) Il film dell'ungherese János Szász lascia la
guerra sempre fuori-campo (però è eloquente la scena dei bombardieri sul
villaggio: se ne vedono solo le ombre proiettate in strada e sui muri
delle case, con un forte effetto di minaccia), preferendo mostrarne gli
effetti sugli individui. E non sono conseguenze edificanti: a parte un
calzolaio ebreo dall'anima di buon samaritano e una piccola ladra, tutti
sono personaggi degni di una storia dell'orrore. Inclusi i gemelli, che
'crescono' rinunciando all'umanità imparata in famiglia e facendosi
vieppiù crudeli con se stessi e con gli altri, per un estremo principio di
sopravvivenza del più forte che li porta a rubare, ricattare e peggio.
Senza arrogarsi giudizi morali su di loro, il film lascia tuttavia ben
poco spazio all'ottimismo (...). Malgrado la cupezza degli eventi che
racconta,
Il grande quaderno
(...) è un film dall'andamento narrativo nitido e dalla progressione
coinvolgente. Contribuisce molto a valorizzarlo il lavoro sull'immagine e
sulla luce naturale dell'austriaco Christian Berger, tante volte direttore
della fotografia per Michael Haneke.
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Ungheria,
Seconda Guerra Mondiale. Una giovane madre lascia la città, minacciata dai
bombardamenti, per la campagna. Indotta dal marito, impegnato al fronte,
affida i figli alla propria madre, una persona sadica e ostile decisa a
piegarli con schiaffi e vessazioni. Resistenti e in attesa di poter
riabbracciare i genitori, i due fratelli, gemelli e adolescenti, tengono
un diario, regalo del padre, al quale consegnano le scoperte quotidiane e
il loro apprendistato alla vita. Fuori dalle pagine del loro grande
quaderno intanto la guerra corrompe uomini, donne, bambini.
Dentro una guerra sprezzante dei diritti dell'individuo si muovono i
giovani protagonisti di Ágota Kristóf, autrice di un best seller
pubblicato nel 1986, celebre per il suo rigore formale e l'asprezza
caparbia. Trasposto da János Szász col titolo omonimo, Il grande quaderno
guarda in faccia alla violenza senza cercare effetti melodrammatici e
affidandosi piuttosto a una durezza ordinaria e a un orizzonte vuotato
dalla speranza. E in questa prospettiva scoraggiante, seminata dai nazisti
e rinforzata da meschini e delatori, il regista ungherese emerge momenti e
sentimenti di umanità inaspettati che provano a 'correggere' la materia
densa e torbida del romanzo (il primo di una trilogia) e a dire con le
immagini le verità implacabili di un diario intimo scritto a quattro mani.
Quelle delicate e incoscienti di due fratelli strappati al loro comfort e
al conforto dell'amore materno e consegnati troppo presto alla brutalità
dell'esperienza umana. Piantato nella campagna di un Est di cui scrittrice
e regista non forniscono alcuna localizzazione, il romanzo di formazione
di Ágota Kristóf educa due ragazzi attraverso umiliazioni fisiche,
ingiustizie, privazioni, fame, sete, esercizio della disciplina. Vittime
di predatori sessuali, in divisa o in gonnella, i protagonisti
sopravvivono attraverso un rigido codice morale autoimposto. Rispettoso
dello spirito del romanzo nondimeno Szász risparmia allo spettatore alcune
sofferenze, consapevole del diverso impatto di alcune scene alla lettura e
sullo schermo. Intatta resta invece la propensione alla fatalità
dell'autrice, che scivola e penetra le immagini lasciando fuori campo la
guerra, evocata soltanto dalle ombre dei cacciabombardieri sui tetti delle
case o dai suoni delle esplosioni, tristi echi sonori che impattano la
vita di nonna e nipoti. Nipoti frontali e immobili, lo sguardo fisso verso
l'orrore e come in un film dell'orrore. Perché i due protagonisti non sono
(e non saranno) più bambini come gli altri ma creature marcate dall'odio
che ci dicono della guerra e delle trasformazioni che impone.
Dentro la luce naturale di Christian Berger, celebre direttore della
fotografia di Michael Haneke,
che illumina i giorni bui e spenti della Storia, il regista rappresenta la
perdita dell'innocenza e la distruzione della vita in nome della
sopravvivenza. Sopravvivere per i gemelli diventa una seconda natura, a
cui sacrificare le loro emozioni e la loro più grande paura, quella
evocata (ed anticipata) dall'interrogatorio di polizia, la separazione.
Nonostante le buone intenzioni Il grande quaderno resta un film ponderato
e prudente, indeciso tra la fedeltà a un romanzo senza concessioni, che
avanza in acque limose senza paura di scomodare, e la ricerca di una messa
in scena per dire efficacemente del processo di disumanizzazione della
guerra subito dai protagonisti. Resta intatto il coraggio di averci
provato e di aver posto degli interrogativi in luogo di risposte manichee.
Consigliamo ai genitori di avvicinare il film nella prospettiva storica
(la Seconda Guerra Mondiale) o in quella favolistica (una sorta di
riscrittura di "Hänsel e Gretel"): due fanciulli abbandonati e precipitati
nelle grinfie di una strega, come viene soprannominata la nonna nel
villaggio, che minaccia di 'divorarli' se non lavoreranno. Libro e film
rivelano una dimensione universale e iniziatica che confronta il bambino
col mondo adulto, messo sotto accusa e tuttavia mai condannato in maniera
definitiva.
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