Quando
in sala è annunciata la presenza di Ermanno Olmi come produttore di Ipotesi
Cinema gli applausi si fanno subito consistenti, ma per Rodolfo Bisatti
l’accoglienza è ancora più calorosa; d’altronde lui, padovano, trentenne,
laureato al Dams, gioca in casa. E “gioca in casa” anche questa sua opera prima
Il giorno
del falco
che disegna un quadro impietoso dell’opulento Nord-Est (il titolo, in
sceneggiatura, era proprio Nord-Est: il vecchio e il cinese). Si parte da
una tragica tentata rapina in banca (con i due assalitori freddati da un agente)
e si procede con l’inchiesta di un reporter di un’emittente locale che,
affiancato dal fido operatore, prova a scavare nelle esistenze “normali” dei due
strani malviventi. Il lento procedere dell’indagine, le inaspettate personalità
che ne emergono (un tranquillo meccanico d’auto prossimo al matrimonio, un
fioraio-poeta estroverso e disincantato), la mediocrità del benessere che
soffoca la realtà veneta diventano un percorso di sconvolgente riflessione per i
protagonisti, lo sbocco amaro per un teorema sociale che Bisatti dimostra per
immagini. Se un difetto si può evidenziare in
Il giorno del
falco è
che l’urgenza della tesi porta la regia stralunare il meccanismo classico della
fiction, tesa a documentare la depressione civile della sua terra.
“In una città universitaria come Padova il peso culturale è ancora tangibile,
ma se ci inoltriamo nella provincia o in città come Vicenza o Treviso lo sfoggio
della ricchezza diventa il senso del vivere. Vai in piazza e arrivano i
ferrarini, con le loro auto tirate a lucido…” Una realtà umana insostenibile
che Rodolfo Bisatti non affronta di petto, ma a cui si sforza di accennare con
la pacatezza del sua messa in scena e con la schiettezza dei suoi interpreti.
“Raccontare il posto in cui vivi per me non è un’idea stilistica, ma un
principio etico”. È l’etica della scuola di Bassano che nel
“sentire”
ciò
che si vuole raccontare e nel saper raccontare ciò che si sente prova a forgiare
dei veri autori, non degli impiegati della commercialità cinematografica o dei
giornalisti televisivi che, come dice il protagonista de
Il giorno del
falco,
“vanno in giro a scoprire il mondo e poi non raccontano che stronzate di gente
rincoglionita dai soldi”.
Fino a quanto Bisatti con il suo film riesce nell’intento? Il coinvolgimento
nella tensione narrativa stenta a decollare, l’identificazione tra il reportage
all’interno del racconto e il film stesso riporta a modelli desueti (il taglio
ricorda il cinema-inchiesta anni ’70), ma alla distanza ciò che lascia spiazzati
è il prendere coscienza di una realtà al limite dello squallore esistenziale che
abbiamo sotto gli occhi e che i media edulcorano in una rappresentazione
superficiale fatta di apparenza e profitto.
Il giorno del
falco
segue fino in fondo il cammino del suo protagonista nel rifiutare, anche come
prodotto cinematografico, i compromessi del mercato. Dobbiamo immaginare
l’uscita posticipata in sala (prevista purtroppo per febbraio, a effetto-Mostra
ormai sbiadito) come un azzardo pari ad un colpo in banca?
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