Giocando nei campi del
signore (At Play in the Fields of the Lord) |
Da un regista acre e sanguigno come il brasiliano
Hector Babenco (Pixote,
Il bacio della donna ragno)
era difficile aspettarsi un'operazione "ecologica" acquietante
nel tradurre in immagini At Play in the Fields of the Lord, romanzo
già di per sé complesso
e radicale pubblicato quasi trent'anni fa da Peter Matthiessen: il fascino
e l'esotismo della foresta amazzonica, il funereo destino delle culture
primitive soggiogate dai ciechi interessi della "civilizzazione",
l'avidità senza scrupoli degli "ambasciatori" politici,
le anime contrapposte della cristianizzazione e dell'azione missionaria...
Accanto alla verve di idealismo e di denuncia originari ci sono così,
nel film di Babenco, una caratterizzazione esasperata dei personaggi, un'incalzante
dinamica nel contrapporsi continuo delle loro posizioni, ma vi è
pure un'irrisolta tensione stilistica (forse distorta dalle esigenze spettacolari
legate al ricchissimo budget) ed una conseguente convenzionalità
descrittiva che, nelle debordanti tre ore di proiezione, non sempre riescono
a mantenere drammaturgicamente coinvolgente l'evolversi della vicenda.
La quale comunque sa delinearsi compiutamente all'interno di quel cinema
ecologico-ambientale che in questi anni molti autori hanno affrontato (La
foresta di smeraldo, Mosquito
Coast). Giocando nei campi del Signore
trova infatti una straordinaria forza evocativa nella simbiosi etnica che
vive il protagonista Tom Berenger, l'avventuriero-pellerossa che, abbracciando
la cultura degli indios, si integra nella tribù indigena dei Niaruna,
ma che, fatalmente, sarà per essa il responsabile involontario di
una totale rovina. La contraddizione del suo essere contaminato-contaminante
è la contraddizione stessa del Babenco di oggi, attento ancora all'afflato
sociale del suo cinema, ma "contaminato" dall'autocompiacimento
e dagli schematismi dell'industria made in Hollywood.
e.l. pieghevole LUX - settembre/novembre 1992 |