F come falso - Verità e menzogna
(F
For Fak/Verités et mensonges)
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da Dizionario dei film (Paolo Mereghetti) |
L'inchiesta sul falsario ungherese Elmyr de Hory, specializzato in dipinti postimpressionisti, si intreccia con quella su Clifford Irving (il giornalista che sosteneva di aver incontrato Howard Hughes e di essere entrato in possesso della sua autobiografia) e diventa una riflessione più generale sul ruolo dell'arte e sui suoi rapporti con la realtà condotta da Welles in prima persona rievocando la propria carriera. Pensato a partire da un documentario incompiuto di Francois Reichenbach sui falsari, il film è un brillantissimo, ma disilluso, testamento sull'inutilità dell'arte, a cui non sembra disposto a concedere alcuna funzione sociale, storica o culturale. Da questa riflessione «verbosa, narcisistica, incontinente, ma affascinante» sui rapporti tra arte e vita Welles esce come un abilissimo falsario che paragona il cinema a «un gioco di furbi castelli e specchi e rimandi»: come dice lui stesso, «la mia carriera è cominciata con un falso, l'invasione dei marziani. Avrei dovuto andare in prigione. Non devo lamentarmi: sono finito a Hollywood!». Il montaggio pirotecnico poi (foto fisse, disegni, immagini di repertorio, riprese documentarie: comunque materiali “poveri”), ingigantisce e aumenta gli aspetti di struggente, autobiografica malinconia del film, ennesima dichiarazione di sconfitta di un regista che sembra divertirsi a prendere le distanze dalla propria opera e da se stesso. |
CINEMA e PITTURA
venerdì in VIDEO al LUX ingresso gratuito settembre-dicembre 2003