Venezia 62° - Concorso
Tra
l’invasione di pellicole cinesi al Lido, è passato in concorso lo
splendido Everlasting Regret
(o Canto dell’eterno rimpianto) dell’hongkongese Stanley Kwan,
autore tra i più conosciuti in patria e vincitore di riconoscimenti a
festival europei come Berlino e Locarno. Purtroppo non è semplice
evitare di cedere alla facile lusinga di fronte a questo film, e non
si potrà mancare di definirlo immediatamente bello.<<
Un film indubbiamente lungo – per molti estenuante – tratto da un
romanzo popolarissimo di Wang Anyi, eletto come l’opera letteraria più
importanti degli anni Novanta. La vicenda è semplice da
riassumere: la storia di una donna di straordinaria bellezza e della
sua città, Shangai, riprese durante quel periodo di profondo
cambiamento che va dal 1947 al 1981. Non è affatto casuale, e anzi è
di primaria importanza, la collocazione storica della vicenda, essendo
essa stessa parte costituente della narrazione. La vita della donna è
infatti strettamente legata ai mutamenti del suo paese, che nel corso
degli anni passa dalla caduta del Nazionalismo, al trionfo della
Repubblica Popolare di Mao, alla fuga da Shangai verso Hong Kong di
coloro che non riuscivano ad accettare il sistema comunista (legame
diretto, questo, con le origini del regista), alla
rivoluzione culturale, fino alla morte di Mao e all’impatto che
ne conseguirà negli anni successivi. La donna di Shangai costituisce una
fortezza che col trascorrere degli eventi viene attaccata, si difende,
si sgretola e si ricostruisce. Il ritmo lento è di fatto un’illusione
creata dalla delicatezza e dalle mille sfumature dei sentimenti umani,
delineati con la finezza del melodramma e creati con l’ausilio
incommensurabile del fascino delle luci sature, soffuse,
armoniosamente calibrate, del fuoco sapientemente dosato, delle
boccate di fumo che riempiono una sospensione o un’incertezza. Alla
fine si perde la capacità di tenere traccia della quantità di fatti e
personaggi che si intersecano nel corso anni, degli amori che la
nostra donna inizia e, inevitabilmente, finisce per perdere o
ritrovare. Privo della sontuosità viscontiana – al quale non è
strettamente legato, ma in qualche modo finisce per rimandare – è
tuttavia impregnato di una nobiltà d’animo e un profondità che lo
rendono uno dei melodrammi più suggestivi degli ultimi tempi. A questo
punto, è inevitabile finire col ricordare Wong Kar-wai e il suo
inarrivabile
In the Mood for Love; e più di un’affinità appare
evidente – posto che sia corretta un’operazione di confronto –
soprattutto dal punto di vista stilistico, dove
Everlasting Regret
sembra debitore di quelle peculiarità formali che rendono unico
Kar-wai. Non sembra proprio un caso in questo senso, difatti, la
presenza nel cast tecnico di William Chang, montatore, scenografo e
costumista di ogni opera di Wong Kar-wai. Ciononostante l’opera di
Stanley Kwan non sembra sminuire, essendo, nel complesso, ripulita
dalle costanti karwaiane e, probabilmente, costituisce un omaggio ad
un’estetica (ed un’epoca, quella degli anni Quaranta e Cinquanta) cara
agli autori di Hong Kong. Lo stesso Kwan dice a proposito: “La ricca
storia cinematografica di Shangai nella prima metà del Novecento si
riflette pochi decenni dopo nell’esplosione del cinema di Hong Kong.
La mia generazione è cresciuta a Hong Kong in un momento in cui i
valori e la cultura di Shangai, importati dalla popolazione immigrata,
esercitavano una profonda influenza”. |
Alessandro Tognolo - MC magazine 14 - ottobre 2005 |