da Film Tv (Pier Maria Bocchi) |
Harlan e Wade sono degli anacronisti. Non s'adattano a sé, non s'adattano al mondo. E le loro reazioni sono sproporzionate e, per l'appunto, anacronistiche. Down in the Valley, che è un dramma western, non è un racconto di follia incipiente; piuttosto, declina con inevitabilità tragica (ma mai con compiacimento nichilistico) l'esistenza di due uomini a loro modo giusti, ma soltanto riguardo al loro pensiero (che è morale). Mentre il resto, figli società natura, sta a guardare, e sovente ne fa le spese. Senza per questo incattivirsi, come dimostra il bel finale. Jacobson, che aveva messo in scena le gesta e l'urgenza assassina di Dahmer in un film omonimo riuscito, stavolta riesce a equilibrare passato e presente con lucidità perfino teorica (si veda la sequenza del set): non sbilanciandosi né verso la malinconia per un universo perduto né verso la grettezza di una contemporaneità integralista. E commuove con tempi meditati, attenti e opportunamente in ascolto, con un cast azzeccatissimo (bravissimi Norton, anche produttore, e Morse) e con un romanticismo generoso che appartiene alle persone come anche al contesto urbano. Down in the Valley ricorda un po' certo cinema di Frank Perry e di Robert Mulligan, ed è un bene. |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO gennaio-marzo 2007
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