Il destino di un cavaliere (A Knight's Tale)
Brian Helgeland - USA 2001 - 2h 12'

da La Stampa (Alessandra Levantesi)

        Quando Un tempo fare a teatro Amleto con gli ombrelli era considerato d'avanguardia, ma oggi come oggi presentare sullo schermo un personaggio del 1300 in versione semi-punk può risultare un'operazione popolare anziché provocatoria. Il destino di un cavaliere, un avventuroso romantico nella cornice dell'Europa medievale dei tornei cavallereschi, sembra proprio concepito in quest'ottica di attrarre e divertire le platee giovanili. In qualche modo lo sceneggiatore e regista Brian Helgeland ha raggiunto lo scopo: un botteghino Usa di quasi 60 milioni di dollari per un prodotto senza star non è per niente male. Il cavaliere del titolo è in realtà il figlio di un umile tessitore di reti. Tuttavia, pur nato in un mondo dalle barriere sociali rigidissime, William ha sempre creduto di poter cambiare la propria stella; e quando gli si presenta l'occasione l'afferra al volo. Con un'armatura d'accatto e una falsa patente nobiliare inventata dallo squattrinato scrittore Chaucer (unica figura storica, si fa per dire, del film) si iscrive a svariati tornei, gara riservata esclusivamente agli aristocratici, e battendosi da leone sotto il nome altisonante di Ulrich von Liechenstein sconfigge un avversario dietro l'altro. Il suo ardimento infiamma d'amore una regale damigella, Jocelyn, e gonfia di odio il trucido conte Adhemar, che cerca con ogni mezzo sleale di annientare il rivale. Epperò, sulle note di We are the Champions dei Queen, William ne uscirà vittorioso affermando con il suo esempio che sola a contare è l'innata nobiltà dell'animo. Senza preoccuparsi di dare spessore a storia e personaggi (il che può sembrare singolare da parte di uno che ha preso l'Oscar per la sceneggiatura di L.A. Confidential), Helgeland ha preferito affidarsi al divertimento delle scene di azione (si passa da una giostra all'altra con varianti che non le rendono mai noiose); delle variopinte scenografie create a Praga dall'inglese Tony Borrough (Oscar per Riccardo III) e dei costumi e armature fantasiosamente rivisitate in chiave moderna da Caroline Harris. Su questo sfondo pittoresco il protagonista australiano Heath Ledger porta la nota di una fanciullesca e simpatica baldanza alla Mel Gibson: se sia poi destinato ad assurgere alla fama del connazionale, si vedrà.

da Il Morandini - dizionario dei film

        Con un'armatura d'accatto e falsi documenti nobiliari, inventati dallo squattrinato poetastro Geoffrey Chaucer (proprio lui, il futuro autore di I racconti di Canterbury), William Thatcher diventa, con l'altisonante nome di Ulrich von Lichtenstein, un campione dei tornei cavallereschi. Alla seconda regia B. Helgeland, anche produttore e sceneggiatore, violenta la storia del Trecento, ma le fa fare un robusto bambino. Postmoderno nella spregiudicata contaminazione di passato remoto e presente, nelle canzoni (Queen, David Bowie, Robbie Williams, Eric Clapton), nei fantasiosi costumi e armature di Caroline Harris e nelle scenografie di Tony Borrough. 27 tornei a cavallo lo rendono ripetitivo, ma la struttura narrativa è solida e ben articolata, pittoresco il contorno dei caratteristi, riuscita la figura del malvagio antagonista (R. Sewell), spiccio il ritmo, interessante il puntiglio paradocumentaristico. Girato a Praga (interni) e dintorni (esterni) al costo dichiarato di 41 milioni di dollari.


promo

13° secolo, tra la Francia, l'Inghilterra e le Fiandre. Un giovane scudiero, grazie alla propria abilità di duellante, diventa cavaliere aristocratico, massimo campione nei tornei cavallereschi, aspirante all'amore d'una giovane donna altera e affascinante. Storia classica ma con molte contaminazioni con la modernità, su tutte la colonna sonora Anni Settanta-Ottanta, da David Bowie ai Queen.


 

SETTEMBRE FEDERICIANO
(a cura del GAL patavino)
TORRESINO - mercoledì 20 settembre 2006