Cyclo
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Tanto era stata lieve e nostalgica la sua opera
prima Il profumo della papaya verde, tanto è cruda e ridondante
la seconda pellicola, Cyclo, del ventitreenne vietnamita Tran Ahn
Hung, vincitrice di questo 52° Festival di Venezia. Un Leone d'oro
che è il riconoscimento ad una verve visionaria e intimista, ad
una struttura narrativa contorta e allucinata, ad una tragedia moderna
che non è solo di un individuo (il protagonista Cyclo, guidatore
di risciò) ma di un paese dilaniato (il Vietnam), di una città-simbolo
che cerca ancora la sua identità (Ho Ci Minh City, ex-Saigon). Cyclo
fa una vita grama: orfano, vive con il nonno e le sorelle; il suo unico
pensiero è rendere onore alla figura del padre proseguendone il
mestiere. Quando, in una citazione desichiana, gli rubano il risciò,
non può far altro che assoggettarsi alla malavita locale, conoscendo
una spirale di degradazione e violenza che riempie lo schermo di crimini,
soprusi e angosce esistenziali. Tra attentati ed esplosioni, omicidi e
vendette, la macchina da prese di Tran Ahn Hung ora si distacca in ampie
panoramiche dal melodramma di quel formicaio umano che è la nuova
Saigon, ora accetta il corpo a corpo con la fatica del vivere dei protagonisti
che non sanno trovare uno sbocco nella "ciclicità" di
un abbrutimento morale inarrestabile: la sorella di Cyclo è costretta
a prostituirsi (ma le perversioni feticistiche dovrebbero mantenerla illibata),
il suo protettore, un gangster-Poeta, è anche il suo fidanzato,
pronto a giustiziare brutalmente un cliente che osa violarla, Cyclo continua
miserabilmente nella sua "educazione" alla criminalità...
Il grigio plumbeo del cielo, il rosso acre degli improvvisi fiotti di sangue,
gli sgargianti "bagni" tra i colori di barattoli di vernice,
il sussultare dei corpi umani straziati, della coda strappata di una lucertola,
di un pesce d'acquario agonizzante: tra ellissi narrative e squarci iperrealisti,
tra efferatezze rituali ed enfasi oniriche, Cyclo è un'esibizione
di energia e talento cinematografici, un film che attanaglia e confonde,
stupisce e infastidisce. Vero oggetto da festival, ermetico nell'evolversi
del racconto, eccessivo nelle impennate visive, ostico per una visione
"popolare", Cyclo ha trovato nel Leone d'oro della giuria
veneziana l'unico passaporto possibile per una distribuzione internazionale. e.l. La Difesa del Popolo 15/9/95 |
LUX rassegna Bitte do you like le cinéma con i sottotitoli? - pieghevole gennaio/marzo 1996