Cuori estranei
(Between Strangers) |
da Kataweb (Mario Sesti)
Un gran pianto, uno di quei
pianti di mamma che l'hanno fatta grande, con il mento che vibra e gli occhi che
si allungano e si assottigliano nel volto come ali di un albatros, è il momento
migliore di
Between Strangers
(Cuori estranei, il
film con il quale Sophia Loren, probabilmente l'attrice italiana più famosa di
tutti i tempi, ritorna sul grande schermo per la regia di un proprio figlio. E'
anche il regalo di una mamma ad un figlio che aspira a fare cinema, un regalo su
cui pochi aspiranti registi possono contare. Anzi, nessuno oltre lui. E' anche
la cosa migliore del film, presentato fuori concorso a Venezia 2002: dovevamo
aspettarcelo come un destino ineluttabile?
Di destino e di madri (e padri) e figli, è completamente intessuto il film,
ambientato a Toronto, una città che, per il fatto di somigliare molto ad
ambientazioni metropolitane statunitensi, ha visto negli ultimi anni
incredibilmente aumentare il numero di film che vi si girano, grazie alla
notevole riduzione di costi rispetto a quelli americani.
Tre donne (la Loren, Deborah Unger, Mira Sorvino), di differenti generazioni,
vengono seguite nel penoso maturare di cruciali crisi familiari e personali. La
Sorvino, fotoreporter di fama, prende coscienza del fatto che la bambina
dell'Angola, che ha mandato in copertina sul "Time", avrebbe potuto rimanere
viva grazie a lei, invece che diventare famosa; la Unger incontra il padre,
uscito di prigione dopo aver ucciso la madre in stato alcolico e 22 anni di
detenzione, la Loren confessa al marito disabile che ha abbandonato un figlio
appena nato, avuto prima di conoscerlo.
Visto che di relazioni familiari si tratta - dentro e fuori dalla storia e della
produzione del film - ci deve essere anche qualcosa che madre e figlio si
scambiano, qualche messaggio vicino alla confessione terapeutica deve
attraversare e sfiorare le zone di sofferenza dei personaggi, presidiate da
padri autoritari e decisionisti e madri con giganteschi sensi di colpa. Ma se
c'è, non riesce mai a diventare la autentica materia del film. Che è puntellato
dalle efficienti prestazioni dei comprimari (Pete Postlethwaite, Malcom Mc
Dowell, Klaus Maria Brandauer), più che essere infiammato da quelle delle
protagoniste.
Edoardo Ponti le lascia troppo spesso isolate in mezzo ad un cinema disadorno,
nitido, partecipe ma incline al patetico. Il fatto che abbia usato il suo
musicista di fiducia (Zbigniew Preisner), che il fato, nel finale, le faccia
incontrare tutte e tre nello stesso aeroporto e soprattutto che ad ognuna di
esse appaia un personaggio di bambina estraneo alla storia ma testimone di essa
come uno dei personaggi del Decalogo, ingenera il sospetto, gravido di indizi,
che il regista sia un grande amante di Kieslowski. Ma il grande autore polacco
lo avrebbe esortato a stringere e snellire tutti gli attacchi di montaggio a
leccare di meno l'inquadratura e, soprattutto, gli avrebbe ricordato che gli
attori bisogna metterli in difficoltà e non solo circondarli di commoventi
tragedie: anche se tra questi c'è la mamma.....
TORRESINO - settembre 2002