Criminal   Gregory Jacobs - USA 2004 - 1h 27'

Zulu Love Letter   Ramadam Suleman - Sud Africa/Francia 2004 - 1h 45'

      Sempre una situazione imbarazzante quella del remake, spesso motivata da un plot originario di appetibile commercialità, talvolta concretizzata in risultati di sorprendentemente reinvenzione. Proprio su quest’ultimo aspetto non ci siamo con Criminal (Gregory Jacobs – USA) che riprende meticolosamente in sceneggiatura Le nove regine di Fabian Bielinsky (2000), storia di due truffatori di strada che trovano il colpo della loro vita nell’occasione di poter smerciare un pezzo collezionistico di gran valore (nel film argentino una rara serie di francobolli, qui un prezioso Certificato del Tesoro). I frammenti narrativi sono pari pari gli stessi, con una sequenza di piccoli imbrogli che costituiscono un’ iniziazione progressiva per il giovane Rodrigo-Brian (Diego Luna) da parte del più esperto Richard (John C. Relly), identica la dinamica dei rapporti tra i personaggi (il primo trasandato, ingenuo e titubante, l’altro elegante, scafato, deciso a tutto), altrettanto sorprendente la risoluzione finale che porta ad una morale sorridente ed amara per la quale nulla è quello che sembra e la sfiducia reciproca è il succo di una sicurezza esistenziale sempre al limite della precarietà. Dove l’operazione in fondo non riesce è nell’assoluta freddezza d’atmosfera umana e sociale, lì dove Nove regine brillava invece per il tono “da strada” che protagonisti molto veraci conferivano alle situazioni anche più inattendibili, per l’aria sognante e trasandata del pivello, la presenza infida del mentore, la fisicità sinuosa della coprotagonista Valerie (qui un’opaca Maggie Gyllenhaal, lì una dirompente Leticia Brédice). Ma soprattutto per la contestualità della crisi economica argentina che offriva motivazione allo squallore civile, dava una scintilla di spiazzante ironia alla svolta del finale. Criminal già nel titolo è uno di quei remake che ha lo scipito sapore del plagio industriale e in tal senso trova davvero poca motivazione in una sezione quale Orizzonti, nella quale siamo ormai abituati a trovare opere incisive e personali. Come Zulu Love Letter di Ramadam Suleman (Sud Africa), sul dramma mai sopito dell’apartheid. Due madri di colore alla ricerca delle proprie figlie: la prima solo del corpo, mai ritrovato, della giovane attivista Dineo, giustiziata dai killer del vecchio potere bianco. Di un vero rapporto d’amore la seconda, la giornalista Thandeka che è stata testimone dell’uccisione e che ancora fatica, dieci anni dopo, a convivere con le conseguenze del proprio esporsi politico, estremizzate nella sordità della figlia Simangaliso. Iper-reali e abbacinanti le visualizzazioni dei flash-back, cruda e sofferta la rappresentazione del presente. Forse nello stile del racconto emerge talvolta una retorica datata, ma il film resta una dichiarazione, forte e mai compromissoria,, di una speranza nazionale mai doma, di una dignità personale che sa affermarsi anche attraverso la sfavillante concretezza di una “lettera d’amore zulu” intessuta di stoffa e perline multicolori.

ezio leoni - Il Mattino Padova  10 settembre 2004