da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Ebbrezza
del lusso: nel nuovo film di Zhang Yimou,
La città proibita,
ambientato a Pechino più di mille anni fa, nel decimo secolo della tarda
dinastia Tang, lo sfarzo, l'ostentazione, la grande ricchezza, la bellezza
sontuosa contrastano con le abiette trame all'interno della famiglia
imperiale e sono straordinari, mai visti. Migliaia di guerrieri corazzati
d'oro e d'argento invadono il Palazzo, si battono con guerrieri neri
atletici, volanti e leggeri come soglie. L'imperatore abbigliato d'oro
duella con suo figlio, si bagna in grandi vasche profumate da petali di
fiori, si cura con fiumi di funghi in bollore e con massaggi eseguiti dal
medico anche quando siede sul trono, si fa trasportare nel Palazzo in
portantina gemmata. Coreografie e simmetrie preziose regolano a Corte gli
schieramenti di bellissime ragazze. L'imperatrice Gong Li porta anelli
d'oro simili ad astucci per le dita, pettinature ornate di fiori e frange
d'oro. Colonne e lunghi corridoi dai parati di broccato rosso, immensi
saloni di cristallo, terrazze coperte di un tappeto di crisantemi. I pasti
solitari serviti da dieci cameriere in piedi, ciascuna con una pietanza o
una bevanda. Armigeri, cavalieri, scrutatori, annunciatori, traditori,
servitori in numero infinito. Insieme con l’ebbrezza del lusso, la voluttà
del farsi servire. |
da Film Tv (Pier Maria Bocchi) |
Non è affatto uguale a Hero e La foresta dei pugnali volanti, La città proibita. Zhang Yimou torna apparentemente sui territori che gli appartengono poco, quelli del wuxia, ma stavolta gli interessano di più il (melo)dramma di Palazzo e gli intrighi familiari, e il film ne guadagna. Niente apologie new age dell'estetica del genere, dunque, ne la solita celebrazione implicita del potere (al fine di evitare noie con la censura cinese). Se il crudele imperatore Chow Yun-fat resta sul trono, durante la dinastia Tang che nel 10° secolo sta tirando gli ultimi, e dopo aver debellato nemici fuori e dentro i propri legami di sangue, è un monito contro l'onda d'urto di una pratica assolutoria e autarchica della forza, che travolge affetti e oppositori senza più distinzioni. Una storia molto "classica" di tragedie di corte, appunto. Che lo sfavillante côté scenografico (con toni e colori "ispessiti" quasi a dare un'impressione di ubriacatura, peraltro giustificata) e le impressionanti scene di massa (anche se per certa parte computerizzate, ma con grande efficacia verosimile) non schiacciano. Senza perdere tanto tempo in coreografie di scontri, Zhang è robusto, vigoroso, e gestisce il gigantismo con intelligenza: e il cast è molto appassionato. |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2007