La chiave
di Tinto Brass - Italia 1983 - 1h 18'

  

Cinema a luci rosse e cinema a luci rosa, hardcore e softcore sono termini che cercano di etichettare le categorie del cinema a tutto sesso: ironicamente, nel capire il gioco delle immagini, ci si ingarbuglia nel gioco delle parole. Ed occorre calcare ulteriormente la mano poiché con a tutto sesso si vogliono qui individuare film che non si accontentano di una tematica motivatamente a tema sessuale, né di un costrutto talora visivamente pornografico: in essi la sessualità è usata come merce di consumo per fornire un prodotto al pubblico, merce di scambio oscena per soddisfare il contenitore-cinema, "riempiendo" lo schermo per riempire la sala.
E' un discorso allora tutto basato sulla quantità, anche per prodotti che vorrebbero delinearsi uno spazio culturale, come La chiave: tette e culi a misura panoramica, inquadrature di organi sessuali magari sciatte e confuse ma illustrative delle mete "culturali" dell'opera. E poi amplessi ansimanti tipo treni a vapore, pruriti sessuali (dei protagonisti) che fanno "storia" più della storia stessa (sia privata che pubblica)... Sì, perché ne La chiave, opera dell'autore Tinto Brass (l'arte!), siamo ai tempi del fascismo (la politica!) e la vicenda è quella di due coniugi verso la mezza età che tacitamente "si comunicano" le loro morbosità attraverso i diari, ufficialmente segreti (il privato!). Gli sfoghi coinvolgono la figlia e il suo fidanzato...
Tratto da un raffinato romanzo giapponese (Junichiro Tanizaki) La chiave è stato sbandierato da Brass e dalla protagonista Stefania Sandrelli come liberatorio dalle ipocrisie del perbenismo sessuale ma è solo patologicamente volgare. E si badi che non è questione di pudore o moralismo. C'è un termine legato all'argomento che ancora non abbiamo tirato in ballo: è erotico (sexy per essere alla moda). L'erotismo nasce dallo stimolo sessuale (intellettuale nel nostro caso) su situazioni che pungolano la fantasia dello spettatore, che "eccitano" pure, ma che lo fanno con arguzia ed eleganza, rendendosi conto d'essere situazioni (cinematografiche) che possono far percepire il sapore dell'oggetto in questione (potrebbe essere la gioia, il divertimento, l'appetito, qui è il sesso), ma non possono farlo veramente "assaggiare". Anche raccontandolo ad oltranza, descrivendolo fino in fondo, non possono viverlo per noi: ne La chiave manca il senso della misura, l'eccitazione cresce, cresce ma poi si satura e subentra la noia, se non il disgusto. Non solo, ma l'erotismo davvero colpisce quando lega con l'ambiente e ad esso lega pure lo spettatore in credibilità di atmosfere, aiutando la storia a crescere, evolvendola, rivitalizzandola in un racconto "comunicativo" che fonda immaginazione e partecipazione. Ci si può riescire talvolta anche solo con poche immagini, con qualche sequenza, magari quando l'intenzione primaria non è quella. Si può citare, quale esempio 'minore', la Jill Clayburgh adultera per dispetto in Una donna tutta sola (e siamo nella commedia sociale), o la Dominique Sanda intrisa di fascino 'culturale' ne Il conformista di Bertolucci. Ma c'è pure una rispettabilissima filmografia "di genere" con opere esotiche (il giapponese Oshima), provocatorie e simboliche (l'italiano Bellocchio e il polacco Zulawski). Ne La chiave l'erotismo non è né a luci rosa né a luci rosse, solo a luci basse. Tinto Brass vomita sesso per riempirsi la bocca; in lui c'è l'idea di oscenità come trasgressione, ma nel tradurla su pellicola egli trasgredisce all'idea base di cinema come montaggio sensato ed estetico d'immagini. Qui l'unico montaggio che conta ha poco a che fare con il cinema.

e.l. Cineforum in CARCERE - marzo 94