Figlio
di uno dei principali rappresentanti del cinema russo d’autore, Aleksei German jr. ha un rapporto speciale con Venezia, che lo ha
lanciato nel 2003 premiando il suo primo lungometraggio e che segnala
ora sulla scena internazionale questo suo lavoro non facile, ma di
grande impatto visivo.
La vicenda ha una collocazione storica precisa: i giorni che precedono
il lancio dello Sputnik, nel 1961. Protagonista è l’ufficiale medico
Daniil Pokrovski, incaricato di assistere i cosmonauti dalla fase dei
test fino al lancio. Egli si muove tra il Kazakistan, luogo ancestrale
e misterioso dove si svolge la missione, e la Mosca rassicurante delle
infinite discussioni con gli amici: è in atto il “disgelo” dopo la
morte di Stalin. Sentimentalmente Daniil è diviso tra la relazione
nascente con la giovane Vera e il rapporto consolidato a Mosca con la
moglie Nina. Il dilemma però più profondo riguarda la legittimità o
meno di sacrificare la vita umana (uno dei piloti brucia durante uno
dei test, come il soldatino di carta della canzone) in nome di una
causa , per quanto grande essa sia. Questo dubbio scaverà nell’animo
del protagonista fino a distruggerlo...
Bumažnyj soldat
(Soldato di carta)
non è, dicevamo, un film facile. Scandito in parti ben separate che
progressivamente ci avvicinano, come in un conto alla rovescia, alla
partenza dello Sputnik, esso procede con una struttura lineare dal
punto di vista temporale. Ma all’interno dei singoli blocchi narrativi
il regista non dà punti di riferimento chiari su fatti e personaggi e
soprattutto preclude uno sguardo agevole sulle situazioni
rappresentate, privilegiando piani sequenza con sfruttamento della
profondità di campo, che sviluppano la narrazione su più piani. Lo
spettatore è cosi chiamato ad orientarsi e a guardare un avvenimento
noto, parte dell’immaginario di tutti, da un punto di vista inedito.
Se ciò all’inizio mette a dura prova, l’universo visivo e uditivo
dentro cui si è costretti finisce a poco a poco per catturare e
affascinare. Felici sono soprattutto le invenzioni visive (spazi e
oggetti, campi neutri e fiammate di colore), sostenute dalla
collaborazione con Alisher Khamidhodjaev e Maxim Drozdov, che hanno
meritato l’Osella per la migliore fotografia. Meno convincenti forse
le idee sonore, perché il sovrapporsi delle voci e il bombardamento
audio rende faticosa la visione: ma è innegabile che anche questa
componente sia funzionale al discorso del film.
La riflessione sulla storia attraverso uno sguardo laterale,
attraverso una prospettiva marginale sono temi cari al regista, che
qui riesce a tradurli efficacemente in messa in scena. Essenziale il
contributo degli attori, soprattutto di Merab Ninidze, che ben
rappresenta il fascino tormentato di Daniil e dà consistenza a un
personaggio emblema (per la cultura russa, "così come in Cechov
- si è sottolineato in conferenza stampa - la figura del medico
rappresenta l'intelligentia, con tutte le sue contraddizioni")
German riesce dunque a destrutturate un mito e l’immaginario legato
all'avvenimento storico, favorendo una riflessione inedita sul
passato, auspicando forse la necessità di prospettive nuove per
affrontare nodi irrisolti. Sembra allora non casuale che il prossimo
film, come afferma l’autore, sarà sull’oggi, “ per raccontare
quello che oggi siamo”.
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