da Film Tv (Emanuela Martini) |
In un cinema di Derry (la città dell'Irlanda del Nord a sole 6 miglia dal confine con la repubblica irlandese) c'è doppio programma, quella domenica 30 gennaio1972: I magnifici sette e Domenica, maledetta domenica, il film di Schlesinger su una disillusa, esausta passione (Sunday, Bloody Sunday in originale). E una letterale "domenica di sangue" sta attendendo 110.000 cittadini irlandesi che manifestano per i diritti civili. La manifestazione è stata vietata dalle autorità inglesi, ma i leader pacifisti Ivan Cooper (un protestante che ha il mito di Martin Luther King) e Bernadette Devlin hanno deciso che marceranno ugualmente. Intorno al corteo, ci sono 3.000 soldati, molti dei quali parà. Alla fine della giornata erano morti 27 civili: 14 accidentalmente, 13 uccisi da colpi di arma da fuoco, questi ultimi quasi tutti ragazzi intorno ai vent'anni. «Avete regalato all'Ira la sua più grande vittoria», si sottolinea nel film; e infatti da quel momento l'lrish Republican Army ebbe una credibilità e un peso politico enormi. Bloody Sunday di Paul Greengrass racconta, nella cronaca di una giornata, quanto sia esile il confine tra la libera espressione del dissenso e la guerra. Il nervosismo spezza ogni inquadratura, la interrompe nel giro di pochi secondi, la fa traballante, mentre i telefoni squillano incessanti nelle case, nei quartier generali, negli ospedali. Dei ragazzi tirano sassi, i soldati rispondono con gli idranti, con i lacrimogeni, i proiettili di gomma e, infine, quelli veri. «Sparate a colpo sicuro», ordina l'ufficiale. E la manifestazione diventa un tiro a segno. Realizzato da irlandesi e inglesi, il film non nasconde le enormi responsabilità dei militari, catturati nella spirale della tensione e della necessità di un "atto esemplare", né le differenze, morali e politiche, che agitano i due schieramenti. L'Ira è sullo sfondo, e acquisterà peso, di notte, alla fine della carneficina, quando parenti e amici delle vittime si metteranno in fila per prendere in mano un fucile. Duro e tirato come un film di guerra, Bloody Sunday fotografa il momento esatto in cui la guerra scoppia; e avrebbe potuto non scoppiare, almeno quel giorno, almeno a Londonderry (nemmeno i nomi delle città sono gli stessi per irlandesi e inglesi), davanti a quelle13 vittime gratuite. |
da L'Unità (Alberto Crespi) |
Greengrass ha scelto un approccio da finto documentario: girando tutto il film con macchina da presa a mano, frenetica e traballante, tenta di «mimare» oggi il film-verità che ovviamente gli inglesi non ebbero la volontà politica di realizzare allora. In realtà la «domenica di sangue» fu cinicamente manipolata dai media: come mostra il film, gli ufficiali inglesi raccontarono alla stampa che i parà erano stati aggrediti da manifestanti armati e non si vergognarono di imbottire d'esplosivo il cadavere di un ragazzo per far credere che nella folla si annidassero dei dinamitardi. Vi sembra tutto tragicamente attuale? Certo che sì. In un certo senso, l'esercito britannico diede in quell'occasione il proprio «contributo» a una serie di prove tecniche di repressione che si compivano, in quegli anni, in tutta Europa e che oggi proseguono in mezzo mondo, dai vari G8 alla Palestina. Il giudizio politico di Greengrass e soci - di per sé durissimo - è accentuato dalla scelta, come guida nell'inferno di Derry, del personaggio di Ivan Cooper: che era sì un parlamentare e un militante dei diritti civili, ma era protestante, quindi in teoria non filo-irlandese. Interpretato da James Nesbitt (il bravo attore nordirlandese di Lucky Break), Cooper diventa il testimone disarmato di una tragedia: incarna l'idealismo di una politica al servizio della gente, che viene spazzata via da logiche politiche più «alte», più potenti e per nulla idealistiche. In questo senso Bloody Sunday racconta una momentanea sconfitta della politica, molto simile a quella che vediamo compiersi ogni giorno a Ramallah e a Gerusalemme, ma invita nche a riappropriarsene: le armi della tolleranza, della comprensione reciproca, della trattativa ad oltranza non vanno mai deposte. Bloody Sunday dura 107 minuti, almeno 90 dei quali ci portano in stile da documentario - nella preparazione della marcia e nella parallela pianificazione della repressione violenta. Siamo ora tra i manifestanti, ora tra i soldati. La macchina da presa sembra ubriaca, il mal di testa é in agguato, non di meno seguiamo perfettamente le loro logiche e le loro paure. Da scabro e feroce, il film diventa pietistico e didascalico nella lunga scena dell'ospedale, in cui i parenti delle vittime piangono i loro cari uccisi. Per suggerire l'orrore, era più che sufficiente la straziante scena in cui gli organizzatori della marcia, alla fine di quella domenica, leggono alla stampa i nomi dei 13 morti. Subito dopo, sui titoli di coda, partono gli U2: per quanto, si domanda Bono, dovremo cantare questa canzone? Già, per quanto? |
LUX maggio-giugno 2002