Un
tempo il cinema cinese, e qui escludiamo ovviamente Hong Kong, era
inaccessibile in Italia, e,
Zhang
Yimou a parte, totalmente oscuro. I festival europei
(Venezia in primis) hanno avuto il merito di portare alla luce questa
consistente parte di produzione che è ancora invisa al grande
pubblico, ma è ora almeno visibile. Oggi, dopo che
Still Life
di Jia Zhangke ha vinto il Leone d’Oro e ciononostante è rimasto
invisibile (e invendibile), c’è ancora parecchio da scoprire. Può
valere la pena di partire da un’opera prima allora, come
Binguan,
un trentenne che sicuramente deve qualcosa ad un Johnnie To nel suo
intreccio bizzarro.
Tutto
ruota intorno ad una bara (vuota? Piena?) e ad un piccolo paesino di
montagna, evocati dal titolo inglese del film. Intorno a questi due
elementi si muovono alcuni personaggi: il capovillaggio alle prese con
un figlio ribelle, una giovane donna maltrattata dal marito, la strana
morte di un teppista, una ragazzina che si crede incinta e scappa in
città. Da questi personaggi, Xin prende le mosse per costruire un
intreccio giallo che gioca, non senza sottile ironia, con i contrasti
dettati dall’avanzare imperioso della modernità, e da un certo sottile
calore umano che traspare dalla vita arretrata che esiste fuori dalle
città, rapportata col caos delle grandi metropoli che ormai
caratterizza la Cina. Un intreccio forse fragile (e sicuramente tirato
un po’ per le lunghe), per un film in cui si avverte chiaramente la
capacità di saper
raccontare l’anima ancestrale di un Paese che sta cambiando ad una
velocità senza precedenti nella sua storia. Racchiuso in
una struttura narrativa ciclica, che sembra proprio negare la
continuità tra passato e presente del Paese, il film di Xin limita i
giudizi sui personaggi al punto da renderli quasi affascinanti nel
loro essere “ordinari”, per il contesto surreale ed ironico in cui
sono inseriti: alla fine del film ci si accorge che a loro, e ai loro
sentimenti così imperfetti e ruvidi, ci si è addirittura affezionati.
Questo non toglie che qui e lì il film sia davvero spassoso, specie
quando mette in scena l’avidità della moglie infelice che gioirebbe a
vedere morto il marito.
Binguan,
presentato nella Settimana della Critica nell’ambito di Venezia 71,
sembrerebbe qualcosa di più del classico film da festival reperibile
nelle rassegne europee. Se il mercato in Italia non fosse così sordo,
meriterebbe addirittura di sottoporsi al giudizio del nostro pubblico
nelle sale.
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