La bicicletta verde
(Wadjda)
Haifaa Al-Mansour -
Arabia Saudita/Germania
2012
- 1h 37' |
Con
La
bicicletta verde
(il titolo originale è Wadjda dal nome della protagonista) arriva in
Italia l’esordio di Haifaa Al Mansour, la prima regista araba della storia
del cinema in Arabia Saudita. Delicato e sorprendente
La
bicicletta verde,
definito dalla regista «una storia piccola sulla vita condivisa di una
bambina e di una mamma e sulle loro emozioni», riesce a raccontare il
mondo delle donne arabe senza cadere in facili stereotipi. La storia è
semplice. Wadjda ha 10 anni e un sogno.
Comprare
una bicicletta per gareggiare con Abdullah, il ragazzino segretamente
innamorato di lei. Ma non è facile comprarne una. Wadjda vive a Riyadh, la
capitale dell’Arabia Saudita e non può, come tutte le donne, avere una
bicicletta. Solo gli uomini possono utilizzarle e solo gli uomini possono
comprarle. Ma lei, che è sfrontata e non guarda in faccia a nessuno,
cavalca il suo spirito imprenditoriale. Vende bracciali clandestinamente.
Ma non basta. Nella sua scuola è indetta una gara per la studentessa più
brava nel Corano. Incapace di memorizzare e recitare se non le canzoni
rock, Wadjda decide di studiare la sua religione per vincere il ricco
premio. Come compagna di avventure la ragazzina ha solo sua madre, una
bellissima donna frustata perché incapace di dare un figlio maschio al
marito, assente e desideroso di un secondo matrimonio. Coraggioso nelle
intenzioni e nel risultato
La
bicicletta verde
è una storia che conquista per la delicatezza e per lo sguardo. Girato da
una regista (che ha visto il cinema solo in televisione grazie alle
videocassette che il padre portava a casa) il film è un bellissimo esempio
di un talento che, pur limitato da regole e censure, riesce a descrivere
un sistema complesso e pieno di contraddizioni come quello arabo,
lasciando allo spettatore il desiderio di conoscere e di non giudicare. |
Emanuela Genovese -
Avvenire |
Qualche
necessaria «istruzione per l’uso»: in Arabia Saudita sono vietate le
proiezioni cinematografiche e non è permessa nessuna forma pubblica e
commerciale di spettacolo cinematografico. Questo non vuoi dire che i film
non abbiano diritto di circolazione: come spiegava bene Roberto Silvestri
nella voce dedicata al regno wahhabita dell’Enciclopedia del Cinema
Treccani «Il consumo di film, assai elevato, avviene in ambito familiare»
anche perché «il numero dei videoregistratori venduti (e adesso di lettori
dvd, possiamo aggiungere) è altissimo».
E qui, davanti allo schermo della tivù, che si è formata Haifaa Al Mansour,
39 anni, la prima regista donna dell’Arabia Saudita, grazie a un ambiente
familiare decisamente liberale (che le ha permesso di laurearsi in
letteratura all’Università americana del Cairo e conseguire un master in
regia a Sydney) e a un padre inaspettatamente cinefilo, che organizzava
serate in famiglia per guardare film insieme. Un ambiente molto diverso da
quello che racconta nel suo film
La
bicicletta verde,
il primo lungometraggio completamente girato in Arabia Saudita e il primo,
ça va sans dire, diretto da una donna!
Fino a quel momento, solo qualche raro film occidentale aveva avuto il
permesso di girare in loco (come Il Malcom X di Spike Lee, per le
scene del pellegrinaggio a La Mecca) mentre le opere prodotte con capitali
locali erano soprattutto documentari e programmi televisivi. Il cinema nel
senso tradizionale del termine faceva evidentemente paura (…). Ecco perché
La
bicicletta verde,
presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, è di per sé un evento
straordinario, anche se prodotto con soldi in parte tedeschi: perché
ambientato e girato tutto a Riyadh, scritto e diretto da una donna saudita
e interpretato da attrici saudite, come la star televisiva Reem Abdullah,
nel ruolo della madre, e l’esordiente Waad Mohammed in quella della figlia
Wadjda.
Il film racconta la vita quotidiana di queste due donne: l’adulta è alle
prese con un autista che le fa moltissimi problemi per
portarla alla scuola dove insegna (dimenticavo: in Arabia Saudita le
donne, anche se dotate di patente, non possono guidare) ma soprattutto con
un marito che per avere il figlio maschio che non arriva sta pensando di
trovarsi una seconda moglie; Wadjda, invece cerca di conciliare le voglie
di una adolescente con le rigide regole imposte dalla società che le
impediscono di comprare l’agognata bicicletta (per chi non lo sapesse, le
biciclette in Arabia sono strumenti di perdizione perché potrebbero
causare la «perdita della verginità»).
Con uno stile limpido ed efficace e sfruttando al meglio la vitalità di
Waad Mohammed e la dolente malinconia della Abdullah, la regista ci
racconta la condizione femminile in un Paese che sembra ancora nel
medioevo: a casa, in privato, si stirano i capelli e si scambiano
telefonate di confidenze e pettegolezzi; in pubblico le donne devono
indossare il burka ed evitare qualsiasi contatto. Naturalmente Wadjda non
vuole darsi per vinta e pur di trovare i soldi necessari a comprarsi la
bicicletta arriva ad iscriversi a una gara scolastica di Corano. Anche se
i risultati della vittoria non saranno esattamente quelli sperati...
Raccontato con uno sguardo apparentemente rispettoso delle regole ma in
realtà capace di far emergere le tante contraddizioni della società
(l’amica della mamma che sceglie di lavorare in ospedale) e le mille
involontarie assurdità di una vita divisa tra regole pubbliche e
compromessi privati (come il «bei ladro notturno» che visita
l’inflessibile preside), il film scivola via con un ritmo spigliato e
accattivante, lontano dalle pesantezze dei film a tesi e invece capace di
sorprendere con la sua spontaneità e il suo disincanto. Oltre che con la
sua sorridente freschezza, che si incarna così bene nel volto sbarazzino
eppure indagatore della volitiva Wadjda.
|
Paolo Meneghetti -
Corriere della sera |
Wadjda.. è il
primo film interamente girato in Arabia Saudita. Non ha reso facile la
vita alla regista esordiente Haifaa Al Mansour, che ha una personale
capacità di gestione del suo sguardo neo- realista, simbolico e
avvincente, già maturo nei dettagli e nel respiro del racconto: «Saranno
le ragazze come Wadjda - dice Haifaa Al Mansour -, con speranza e
perseveranza, a dare una nuova forma e ridefinizione al nostro Paese».
La
bicicletta verde
(titolo del film in uscita in Italia, da non perdere) che Wadjda cerca di
conquistare vincendo, con scaltro calcolo, la gara scolastica di Corano, è
proibita alle donne, impedisce la fertilità... Le donne lavorano solo se
un autista le accompagna. I bambini non possono giocare con le bambine.
Una compagna di Wadjda si sposa con un giovanotto di 20 anni. La
bellissima mamma di Wadjda cerca invano di arginare il desiderio del
marito di acquisire una seconda moglie. La pedalata finale in fondo alla
strada porta, si spera, in un mondo più libero e giusto.
|
Silvio Danese -
Nazione-Carlino-Giorno |
promo |
Ogni giorno Wadjda passa davanti a un
negozio di giocattoli e si ferma a guardare la bella bicicletta
verde in vetrina. Anche se alle ragazze islamiche è proibito
andare in bicicletta, Wadjda sogna di comprarla e per raccogliere
i soldi necessari escogita un piano, cominciando a vendere a
scuola nastri musicali registrati e aiutando una ragazza più
grande a incontrare un ragazzo. Il suo piano però non basta e non
le resta che cogliere al balzo una nuova occasione: partecipare a
un concorso di lettura del Corano con in palio una cospicua somma
di denaro…
L’esordiente Haifaa Al Mansour ha una personale capacità di
gestione di uno sguardo neo-realista, simbolico e avvincente, già
maturo nei dettagli e nel respiro del racconto. Il suo talento
registico, pur limitato da regole e censure, riesce a descrivere
un sistema complesso e pieno di contraddizioni come quello arabo,
lasciando allo spettatore il desiderio di conoscere e di non
giudicare. Una storia che conquista per la delicatezza e per lo
sguardo. |
|
LUX
- dicembre 2012 |
|