In
La
bella scontrosa
di Jacques Rivette nessuno fa realmente all'amore, ma è come se il
pittore Michel Piccoli e la sua modella Emmanuelle Béart si congiungessero
carnalmente sotto gli occhi degli altri personaggi: la moglie Jane
Birkin che fu per anni l'ispiratrice dell'artista fino al suo inaridimento,
il giovane David Burzstein che troppo facilmente ha concesso al pittore
di ritrarre la sua compagna, il collezionista Gilles Arbona in veste
di Mefistofele.
Segnali di malattia e morte, repentine esplosioni di sentimenti repressi
e un veleno a portata di mano fanno temere che la vita quotidiana
al castello di Assas, non lontano da Montpellier, sfocerà in tragedia.
E invece la mano leggera di Rivette guida i co-sceneggiatori Pascal
Bonitzer e Christine Laurent a una soluzione da "pièce noire"
di Anouilh, con il pittore che, recuperando il senno, seppellisce
dietro a un muro il capolavoro senza neppure farcelo sbirciare; e
procura, per la cerimonia degli addii, una copia elegante e innocua.
Qualcosa si è ricomposto, ma in un congelamento dei sentimenti quasi
cadaverico, fra Piccoli e la Birkin; qualcos'altro
invece si è definitivamente spezzato nella coppia dei giovani. Con
l'amore non si scherza, diceva Musset; e con l'arte neppure.
Splende in questo stupendo film la "clarté" del cinema francese
quando si riallaccia alla densità letteraria di una grande tradizione:
il breve racconto fantastico "Il capolavoro sconosciuto"
di Balzac, 27 pagine per illustrare l'assioma che l'arte non può rispecchiare
la perfezione divina. Tale precedente diventa, sullo schermo, un semplice
punto di riferimento: ma un'opera si giudica anche dalla qualità dei
pretesti. Nonché, ovviamante, dalla suprema raffinatezza dell'esecuzione,
con la fotografia incantata del polacco William Lubtchansky, che serve
altrettanto bene il paesaggio provenzale, le tele di Bernard Dufour
(il pittore vero che ha eseguito i quadri) e la fisionomia degli interpreti.
Tra una Birkin di affascinante verità psicologica e una Béart intrepida
nella sua totale disponibilità alle pose di nudo, Piccoli si muove
in mezzo agli oggetti come imparò a fare in
Dillinger è morto
del nostro Ferreri e visto al lavoro nell'atelier sembra proprio un
artista preso dalla vita.
Vero è che la versione del film apparsa sui nostri schermi della durata
di 2 ore e 10' circa, è più corta di un'ora e 50' rispetto alla versione
integrale vista e premiata a Cannes: e ciò che va perduto sono le
lunghe sedute di posa, il rapporto a rischio fra artista e modella
intessuto di reciproca dipendenza, l'emozionante duello tra un uomo
e una donna travolti dal gioco pericoloso della creatività. Scommettiamo
che quando avrete ammirato La belle noiseuse "piccola"
vi verrà una gran voglia di vedere quella "grande"?
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La
belle noiseuse,
da Cannes alle sale in cui esce in questi giorni, ha perso due ore
e si è conquistato un nuovo titolo "La bella scontrosa",
che se richiama il suono dell'originale, in compenso non lo traduce
fedelmente. Perché "noiseuse", si era scoperto a Cannes
vedendo il film di Jacques Rivette, significa scocciatrice, rompiscatole,
con una parola di gergo franco-canadese.
Nella versione che arriva ora nelle sale Rivette non si è limitato
a tagliare - soprattutto le lunghe sequenze in tempo reale che vedevano
le mani del pittore Bernard Dufour di segnare, dipingere, maltrattare
la carta, doppiando, se così si può dire, le mani di Michel Piccoli
nel ruolo del grande artista Edouard Frenhofer. Ha montato altre sequenze
girate secondo un ritmo più adatto alla versione di due ore. Con il
risultato che, se manca l'effetto ipnotico prodotto dalla concentrazione
dello spettatore sulla
creazione dell'opera d'arte, il rapporto di fascinazione e violenza,
scoperta e autodifesa che si instaura tra l'artista e la sua modella
è ugualmente forte, in gran parte per merito dell'assoluta naturalezza
di Michel Piccoli e della fierezza della bellissima Emmanuelle Béart,
che recita per due ore impavidamente nuda. “La belle noiseuse"
è il titolo del quadro incompiuto che ha spinto il grande pittore
Edouard Frenhofer a smettere con la pittura, ritirandosi nel suo splendido
castellotto del Midi a meditare sulla sua crisi creativa. Che, a ben
vedere è sicuramente anche una crisi della mezza età, visto che il
nostro dedica ben poca attenzione a sua moglie Liz (una Jane Birkin
sempre più sottomessa e mesta), già modella del capolavoro incompiuto,
che ora passa il tempo ad impagliare uccelli ed animaletti selvatici
per delle nature morte che la dicono lunga sull'allegria della sua
vita. Un giorno arriva in visita al castello un ammiratore del maestro,
pittore della nuova generazione, con la sua bella compagna, che fa
rinascere in Frenhofer la voglia di ricominciare a dipingere. Tra
il pittore e la modella, tra l'artista e il suo oggetto, tra il regista
e l'attore, come sembra suggerire Rivette (o tra l'uomo arrivato al
suo meriggio e la giovane donna affascinante capace di risvegliare
la sua voglia d'amore: ma questo non è mai detto) si instaura un complesso
rapporto fatto di violenza, del desiderio di plasmare, del desiderio
di trovare quella verità che l'arte promette.
Nel
racconto di Balzac, il giovane offriva la sua amante al grande pittore
per conquistare il diritto di essere lui solo ad ammirare il quadro
che nessun altro vedrà. Nel film di Rivette, quando Frenhofer avrà
ritrovato la capacità di dipingere - e la ragazza avrà scoperto attraverso
il suo ritratto delle verità su se stessa che stava scoprendo ma che
è doloroso sapere - per supremo dispetto o autodifesa, senza mostrarlo
allo spettatore, Frenhofer mura il suo capolavoro finalmente compiuto.
Quello che conta non è il risultato, ma il processo di scoperta che
lo ha prodotto. Alla mercantile curiosità dei terzi verrà offerto
un quadro qualsiasi dipinto lì per lì.
Scritto da Pascal Bonitzer e da Christine Laurent giorno per giorno,
con gli attori, il dialogo mescola la chiacchiera elegante di stampo
"rohmeriano" alla disperata intensità dello scambio di violenze
tra l'artista e la modella, alla malinconia del rapporto ormai sterile
tra il marito e la moglie. Concentrato, ipnotico, sofisticato, La
bella scontrosa presuppone da parte dello spettatore pazienza e curiosità,
e - indispensabile presupposto - la voglia di farsi piacere i non
geniali quadri di Bernard Dufour. Ma basterebbe l'interpretazione
di Michel Piccoli, sornione e stanco, lontanissimo dalla banalità
dei tormenti e delle estasi cinematografiche degli artisti, perso
nelta sua perduta voglia di vivere, basterebbero la bellezza e la
fierezza di Emmanuelle Béart a giustificare il biglietto.
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