È
molto raro che un film dell'orrore susciti unanime entusiasmo nella
critica. Perciò si attendeva con curiosità questo debutto nel
lungometraggio di una regista australiana, accolto molto bene al Sundance
e premiato in diversi festival prima di approdare da noi. (...) II cinema
horror ha dato spesso corpo alle ossessioni infantili; collegandole, nei
casi più evoluti, con la paura dell'adulto e il terrore che presenze
familiari si rivelino all'improvviso minacciose. In questo senso il film è
esemplare: se l'elemento deviato della solitaria famigliola sembra il
minorenne, in realtà è sua madre a essere posseduta dai propri demoni
interiori, che passo dopo passo la fanno diventare pericolosa come il Jack
Torrance di Shining. Col procedere
dell'azione ci rendiamo sempre più conto di non essere tanto di fronte a
un film di paura, quanto piuttosto a un thriller psicologico lontano anni
luce dai vari Paranormal Activity.
Intanto la storia si colloca (come direbbe Todorov) dalla parte del 'fantastico',
facendo esitare lo spettatore tra una spiegazione irrazionale e una
razionale degli eventi. Esiste davvero l'uomo nero che, di notte, visita
la casa? O è una proiezione delle paure del bambino e della psicosi della
madre? (...) Una figura grottesca, frutto della creatività di Jennifer,
che poggia sull'iconografia di Méliès e dell'espressionismo tedesco, passa
per le mani artigliate di Nosferatu e Freddy Krueger e, magari, flirta con
i fantasmi di Darrell Aronofsky (...) Che Jennifer Kent non abbia scelto
il repertorio del film di paura solo per cercare modi nuovi di scioccarci
lo dimostra soprattutto, però, il suo modo di dirigere. Senza mai far
ricorso al repertorio dello jump-scare, la tecnica per spaventare lo
spettatore con effetti repentini e inattesi, Kent adotta un linguaggio
narrativo piuttosto classico, che sposa la capacità di tenere alta la
tensione con una parte di familiarità: come fa chi vuole narrarci una
fiaba spaventosa moderna ma allo stesso tempo decisamente antica.
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