È
una storia remota che si svolge nel 1849 nell’isola di Saint-Pierre,
protettorato francese al largo del Canada, ma potrebbe essere
contemporanea in quanto il regista Patrice Leconte sa imprimere alla
vicenda l’astratta temporalità delle tematiche universali. Il titolo
italiano
L’amore che non muore
mette l’accento sul sentimento totalizzante che lega il capitano della
guarnigione Daniel Auteuil alla moglie Juliette Binoche. Fra i due c’è una
complicità profonda che si traduce in un rapporto libero, eccentrico ai
limiti dello scandalo per i costumi dell’epoca. Quando il vagabondo Emir
Kusturica è condannato a morte per omicidio, Juliette contraria alla pena
capitale prende a cuore la sua sorte; e con il consenso del marito, che
sulla sua responsabilità concede al carcerato di andare e venire dalla
cella, inizia una sorta di riabilitazione del poveretto, insegnandogli a
coltivare i fiori, a leggere e a rendersi utile alla comunità. In attesa
della ghigliottina e di un boia che a Saint-Pierre non ci sono, sotto la
guida della sua protettrice il prigioniero rinasce a nuova vita, compiendo
addirittura un gesto eroico e prendendo moglie. Il paese finisce per
simpatizzare con il pentito, sicché l’arrivo della ghigliottina dalla
Martinicca crea una situazione di imbarazzo alla quale le autorità
reagiscono scegliendo il merito della repressione. Apparentemente
L’amore che non muore
racconta un triangolo sublimato: si può pensare
che Juliette sia innamorata di Emir anche se nessuno dei due tradirebbe
mai la fiducia di Daniel. Ma Leconte mette in scena piuttosto un
appassionato teorema morale, cui l’aspra ambientazione isolana conferisce
il sapore romantico dell’assoluto. Per la prima volta attore, il regista
Kusturica è perfettamente calato nel suo ruolo e la coppia Binoche-Auteuil
è straordinaria nell’esprimere un interiorizzato e intenso ardore.
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