da Dizionario dei Film (a cura di Paolo Mereghetti) |
Esasperati dai continui furti, gli abitanti di un paesino del Nevada catturano tre stranieri (Dana Andrews, Anthony Quinn e Francis Ford) accusandoli di aver ucciso un allevatore e di avergli rubato il bestiame. Nonostante l’opposizione di due cowboy (Henry Fonda e Henry Morgan) e il fatto che non esistano prove concrete a loro carico, i tre vengono impiccati senza praticamente lasciar loro la possibilità di difendersi: solo il giorno dopo si scoprirà che erano innocenti. Uno dei primi, insuperati esempi di western realista che distrugge il mito del cowboy coraggioso e virile e dà inizio alla dissoluzione del mito della frontiera. «Il luogo è banale, il tempo triste, le vittime scialbe e la storia è solo quella di un po’ di intolleranza in un angolo sperduto dell’Ovest, dove gli stranieri sono a priori sospetti»: la regia di Wellman scardina ogni drammatizzazione negando dignità all’eroe romantico per rendere la sua cronaca ancora più implacabile, anche perché non trasforma chi dà la caccia agli assassini in una folla assetata di sangue, ma situa con rara esattezza psicologica le reazioni dei contadini e la loro autodifesa in un quadro sociale decisamente innovativo per i tempi. Molto del merito va anche alla sceneggiatura di Lamar Trotti, che ha adattato con estrema fedeltà il racconto di Walter Van Tilburg Clark, concedendosi una sola libertà: la lettera d’addio scritta da uno dei condannati alla moglie, che nel libro è solo accennata, mentre nel film chiude con le sue commoventi parole (lette da Fonda) questa grigia parabola sulla durezza degli uomini e delle cose. La Fox era contraria al progetto e per risparmiare decise di non girare in esterni, ma la ricostruzione in studio finì per accentuare l’atmosfera claustrofobica del film e aumentarne la forza drammatica. |
cinema invisibile TORRESINO gennaio-aprile 2007