Addio
terraferma (Adieu
plancher des vaches) |
da FilmTv (Aldo Fittante)
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul concetto di cinema libero, non dovrebbe lasciarsi sfuggire questo capolavoro di sfrontata anarchia diretto da uno che ha visto ben sessantacinque primavere: il georgiano, matematico e musicista Otar Iosseliani, attivo da almeno tre decenni, autore di capolavori che si chiamano C'era una volta un merlo canterino ('70), Pastorale ('76), Caccia alle farfalle ('92), Briganti ('96) e soprattutto I favoriti della luna ('84), a cui Addio terraferma è indissolubilmente legato, per la struttura, l'ambientazione parigina, il vento selvaggio, il clima indipendente che lo pervadono. Una pellicola che francamente se ne infischia dei ritmi contemporanei, che procede col suo passo e in cui si narra di Nicolas, primogenito ventenne di una ricca famiglia governata da una terribile donna d'affari che, invece di coltivare il suo privilegiato futuro, passa le giornate a Parigi, lavorando sodo nei mestieri più umili; mentre nella grande villa dei genitori, tumulti interclassisti minano le certezze della mamma-mostro, del papà ubriacone, dei convitati alle algide feste di rappresentanza. Addio terraferma (libera traduzione dell'originale Adieu plancher des vaches che è il saluto gergale dei marinai quando prendono il largo) è una specie di Grande abbuffata ferreriana senza l'ossessione del cibo e l'alone nichilista che avvolgeva l'opera del regista italiano. ma potrebbe benissimo essere considerato una continuazione del Fascino discreto della borghesia di Bunuel: è - come detto - una famiglia benestante paradigmatica a venire scardinata sotto i colpi di un umorismo nero e distaccato, accompagnato da immagini nitide e lucidissime, da un ritmo frammentato, da uno stile laconico che regala un'opera quasi muta, che non ha molto bisogno delle parole. Iosseliani, oltre che dirigerlo, lo monta e lo interpreta (è il padre alcolizzato che ama giocare con i trenini giusto per far capire che di straordinaria opera autoriale si tratta: autoriale senza essere saccente.
da Ciak (Massimo Lastrucci)
Tenerselo stretto e coccolarlo, Otar Iosseliani. Quanti ne sono rimasti, di cineasti in attività, a mirare alla metafisica e a celiare sulle segrete e dolenti cose dell'essere uomini tra gli uomini? Addio terraferma mette in campo con leggerezza e maestria degne di un Max Ophuls una giostra di personaggi e situazioni, giocando con le categorie filosofiche del ricco e del povero, del ladro e dell'onesto, dell'antico e del contemporaneo. Nella Parigi dei bistrot, autunnale e amata, "eroi" condannati dal destino a essere se stessi le prendono e le danno alla vita. Però c'è grande disordine sotto il cielo del regista georgiano e l'indifferenza morale del potente stride di fronte alla pietà assoluta del "traditore di classe" (il ricco e francescano Nico Tarielashvili). Ma di fronte all'eterna cattiveria della storia e della società, due sono le vie di fuga: l'utopia nella natura o la santa ebetudine da ebbrezza alcolica.