C’era molta apprensione quest’anno nell’ambiente del
Festival di Locarno per due importanti motivi: in
primo luogo, il passaggio del testimone dal ticinese
“doc” Marco Solari (ex parlamentare, personalità
conosciuta e stimata in tutta la Svizzera, presidente in
carica da 23 anni e soprattutto famoso per il suo non
“mettere il naso” nelle scelte artistiche del festival)
a Maria Offman. La nuova presidente designata non
potrebbe essere più diversa: 68 anni, zurighese, oltre
ad essere tra gli eredi della casa farmacetica Rosch, è
nota soprattutto come collezionista di arti visive e, in
quanto tale, membro del board di importanti musei di
livello mondiale e fondatrice della LUMA Foundation,
istituzione votata al progresso dell’arte contemporanea.
L’unico suo aggancio al mondo del cinema sembra essere
stato, negli anni, la produzione di documentari dedicati
a vari personaggi delle arti figurative. La Offman
conosce a malapena il Ticino, non parla italiano,
addirittura quest’anno non si è fatta vedere al Festival
("per non rubare la scena a Solari", ha detto).
Comprensibili le perplessità: cambierà la rotta del
Festival? Vorrà trasformarlo in qualcosa di diverso,
magari più vicino al circuito artistico? Su questi dubbi
si è inserito il secondo argomento estremamente
dibattuto: l’idea di cambiare la calendarizzazione del
festival stesso, spostandolo dalla prima decade di
agosto ad altra data. Sembra ci siano sotto pressioni
dell’ambiente turistico ticinese, che però non riusciamo
a capire. La data odierna, in vigore dal ’56, sembra
infatti ottima, non fosse altro perché non viene a
sovrapporsi a quella di altri festival importanti. E poi
tredici giorni di (quasi) di bel tempo su cui vive lo
splendore degli spettacoli di piazza Grande, fiore
all’occhiello del
LFF, in
quale altro periodo riusciremmo a trovarli?
Ad
ogni modo e tornando al Festival di quest’anno, il
direttore artistico Giona A. Nazzaro è riuscito ad
allestirne un’edizione in linea con gli anni precedenti.
A cominciare dalle proiezioni serali dedicate alla
mondanità, con la presenza di film e personaggi di primo
piano, da Alfonso Cuaron a Janet Campion, a Rasoulof,
alla superstar indiana di Bolliwood Shak Ruk Khan, per
finire – o cominciare – con Melanie Laurent e Guillaume
Canet, interpreti del film d’apertura
Le deluge
di Gianluca Jodice.
Ma veniamo al
Palmares: Pardo d’Oro a
Toxic
(Aki Plesa) della lituana Saulé Blivaite, a cui va anche
il premio per la miglior opera prima.
È la
storia di due ragazzine che, per sfuggire allo squallore
(alcool, droga…) di una cittadina degradata dove sono
nate, vanno nella capitale inseguendo il sogno di
diventare modelle e si iscrivono ad un’agenzia guidata
da persone aride e manipolatrici che vogliono solo
sfruttare la loro acerba bellezza. E’ una storia che
conosciamo, l’abbiamo già vista in forme forse meno
crude nel nostro mondo, a New York o a Milano. Dal punto
di vista formale la regista riesce bene a comunicare il
senso di estraneità e di abbandono di una giovinezza
basata solo sul corpo, eletto a simbolo e strumento di
un’elevazione sociale che nella maggior parte dei casi
non arriverà mai. Qualcuno ha parlato del primo
Lanthimos, ma a noi il film non ha emozionato.
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Toxic |
Drowning Dry |
Interessante notare che un altro premio importante è
andato a un’altra regista lituana, Laurinas Bareisa, per
Drowning Dry (Seses). In ogni modo, senza
tanto sbandierare il “me too”, è giusto riconoscere ai
selezionatori che ben otto film su diciassette del
concorso erano diretti da una donna.
Passando al concorso cadetto, Cineasti del presente,
il Pardo d’Oro è andato a
Holy Electricity,
del georgiano Tato Koteti Shvili, racconto semiserio di
due perdigiorno i quali, trovato in una discarica un
ammasso di croci di ferro arrugginite, le elettrificano
e trasformano in oggetti di culto che riscuotono un
incredibile successo negli strati più bassi della
popolazione, dando ai due un’effimera ricchezza (È
interessante notare che già a Berlino e a Cannes sono
apparsi film georgiani di un certo pregio. Sarà la
Georgia quello che è stata la Romania nei primi due
decenni del secolo?).
Chiudiamo
con i film che più abbiamo apprezzato, a cominciare da
Invention (in
Cineasti del presente), piccolo geniale film che
speriamo possa trovare distribuzione in Italia. Poi due
titoli del concorso maggiore, l’enorme, in tutti i sensi
(340 minuti),
Youth - Hard Times del
cinese Wang Bing, e
Mond di Kurdwin Ayub,
entrambe di forte impatto emozionale, se pur per ragioni
diverse.
Locarno Film Festival merita sempre una
visita!
Giovanni Martini
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