La questione etnica mina da sempre il processo di
civilizzazione. La conquista del West ha visto tensioni e
contrasti dovuti all’affollarsi di razze e idiomi, tra
carovane e insediamenti di irlandesi, russi, danesi, tedeschi…
Ma la criticità del
melting pot resta focalizzata nell’impari faccia a faccia
di pionieri e pellerossa. Una dinamica che va oltre la
semplice (?) coabitazione per affrontare la complessità del
mescolarsi dei diversi colori della pelle. È nel
western che si gettano la
basi del meticciato, ma le relazioni interrazziali, da
Pochontas in poi, sembrano
avere un amaro destino: la love-story tra Tom Jefford e
Sonseeahray (L'amante
indiana) muore sul nascere, quella di
Jeremiah Johnson e Swan viene drasticamente spezzata dai Crowe
(Corvo rosso non avrai il mio scalpo)
e solo nella relazione tra Boone e Occhio d'anitra (Il
grande cielo) Hawks concede qualche speranza di
un'armonia futura.
Più estrema e divisiva è
quella che possiamo identificare come 'contaminazione'. Le
incursioni degli indiani nelle fattorie non facevano solo
stragi di coloni ma si concretizzano anche in rapimenti,
specialmente di ragazzi e ragazze: giovani donne che poi
crescevano con la tribù diventando squaw o spose dei
guerrieri. Il cinema ne parla saltuariamente con toni spesso
strazianti. A parte la sofferta odissea di Sarah Carver,
moglie in fuga dall'indiano Katawa in
La notte dell'agguato, e l’ironia contestatrice
della Kathy di
Soldato blu, è
sicuramente
John Ford il
cantore di tali situazioni: il dramma delle nuova identità dl
Lupo Veloce e l'umiliazione che deve subire Elena (Cavalcarono
insieme), ma soprattutto la storia di Debbie in
Sentieri selvaggi:
la voce del sangue che sembra essersi tacitata nel primo
incontro con Martin si fa poi sentire nel finale, pur con il
rischio che Ethan possa rifiutarla come nipote proprio perché
contaminata. Il richiamo del sangue non ha invece la meglio in
Rachel (Gli inesorabili).
Qui paradossalmente il contesto è speculare. C’è la giovane
che scoprirà di essere figlia adottiva, rapita ancora in fasce
dopo un combattimento che l’aveva vista unica superstite in un
campo di Kiowa, sterminato dai bianchi. Ma quando il fratello
Lost Bird la reclama non c’è sangue che tenga, lei sceglie di
restare coi suoi fratelli acquisiti. Se bisogna riconoscere a
Huston di aver rielaborato le tensioni razziali della comunità
di frontiera in un intenso melodramma, arcigno e appassionato,
Ford però sa dare all’ansia di vendetta del suo antieroe,
disilluso e sradicato, un respiro epico inimitabile che resta
“la” pietra miliare del
western maggiorenne.
NOTA:
La paternità del
termine western maggiorenne
può essere attribuita a Tullio Kezich ed è curioso
che lui, esperto del genere e amante da sempre del
cinema di
John Ford,
abbia preferito Gli inesorabili
a Sentieri selvaggi
che definisce "un western lento e sconnesso... in cui
la formula del film d'azione si rovescia adottando i
ritmi lenti", aggiungendo: "Perfino Ford
è caduto nella novità a tutti i costi e ci ha messo il
pepe delle scene di violenza (ormai indispensabili) e le
turbe psichiche dell'eroe, talmente sottolineate da
rendere il personaggio incomprensibile... La furia
razzista dell'eroe resta un atteggiamento astratto,
puramente psicologico e in fin dei conti
sentimentalmente reversibile". Difficile trovarsi
d'accordo, stavolta!
Ezio Leoni |