Sono situazioni simili, anche se ben diversamente contestualizzabili, quelle che regolano le dinamiche di due grandi western
come Il cavaliere della valle solitaria e
I magnifici sette. Nel film
di George Stevens (1953) siamo in una sperduta vallata del Wyoming, in
quello di John Sturges (1960) l'ambiente è un piccolo villaggio
messicano. Ma per entrambi il problema è la prevaricazione,
l'imposizione di un crudele predominio: da una parte quello della
tracotante famiglia Ryker sugli altri coloni, dall'altra quello che
il fuorilegge Calvera e la sua banda impongono ai contadini della zona. Per entrambi
si sente quindi il bisogno di qualcuno che intervenga a destabilizzare il
bieco scenario di sopraffazione. Sarà un cavaliere solitario, Shane,
che si trova a passare per la fattoria degli Starrett, a prendersi a
cuore il futuro della famiglia di Joe degli altri coloni. Occorrerà
invece trovare dei pistoleri a contratto per districare la matassa di
reiterata violenza nel villaggio del Messico. E, in entrambi i casi, gli
"eroi" saranno fugaci presenze che si lasceranno alle spalle le azioni
e i luoghi che li hanno visti protagonisti. Un destino ai margini della
legge è quello che abita infatti il cuore di Shane che se ne andrà,
sordo al richiamo disperato del piccolo Joey; e così pure i
sopravvissuti alla cruenta battaglia in terra messicana non potranno
che riprendere il loro cammino di solitari pistoleri, "magnifici" ma
senza fissa dimora.
Ezio Leoni |