aprile 2023

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

n° 80
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 

FESTIVAL DI BERLINO                                       

 

16-26 febbraio 2023

  Al suo quarto tentativo, dopo due edizioni funestate dalla pandemia, il direttore Carlo Chatrian ha presentato una rassegna varia e articolata, con la giuria presieduta dall’attrice americana Christin Stewart. Certo siamo lontani da certi momenti alti del recente passato, e soprattutto da quel clima che ne aveva fatto, per tutta la gestione Kossowitz, il festival più impegnato, politico, di sinistra tra quelli maggiori. E d’altra parte, solo a leggerne il programma, si notava l’assenza di tutti i grandi nomi (ad eccezione forse dei tedeschi). Evidente peraltro l’intento di adeguarsi alle ultime tendenze; almeno la metà dei film ha come regista una donna e una spiccata attenzione ad argomenti al centro del dibattito odierno, come la questione del “gender”. Tra le incongruenze: il film di apertura, il mediocre She came to me di Rebecca Miller, non è in concorso (e allora si poteva anche non metterlo!). E anche il primo in gara, BlackBerry di Matthew Johnson, non è che un filmone commerciale sulla incredibile vicenda dell'ascesa e caduta dell‘omonimo cellulare canadese, il primo capace di ricevere e spedire una mail, progenitore dell'attuale smartphone. Appesantito però, in maniera quasi caricaturale, dalla contrapposizione tra l’universo degli smanettoni californiani che lo inventano e l’altrettanto esagerato gelido ambiente del business americano che lo porta all’ effimero successo. Ma veniamo al Palmares: Orso d'oro per il miglior film al reportage Sur l’Adamant di Nicolas Philibert. Il titolo si riferisce ad un battello ancorato sulla Senna che serve di prima accoglienza e centro di cura e socializzazione per persone sofferenti di vari problemi psichici. Autore di grande esperienza e apprezzato dalla critica, soggetto ineccepibile, un'opera che va ad affiancare ad altri (più o meno memorabili) documentari, da Grande raccordo anulare fino a All the Beauty and the Bloodshed, entrambi premiati col Leone d’oro).

Inspiegabile invece, nostro avviso, l'Orso d’argento  per la migliore sceneggiatura a Music della regista tedesca molto cult Angela Schanelec. Un riconoscimento davvero spiazzante per un film inguardabile, costituito da una serie di inquadrature fisse e quasi senza relazione tra di loro, di cui tutti hanno capito poco o niente. Ambientato in una Grecia arcaica ma ai giorni nostri (si assiste ad una partita dei mondiali 2006) sembra portare un riferimento al mito di Edipo. Cinema austero, cerebrale, per iniziati, o forse un altro vicolo cieco per la sopravvivenza del cinema, uguale e opposto a quello dove rischia dì condurci Everything everywhere all at once, il trionfatore agli Oscar di quest'anno?

Più condivisibili l'Orso d’argento-Gran premio della giuria a Roter Himmel di Christian Petzold, il premio per la migliore regia al Philip Garrel di Le grand chariot e l’Orso d’argento per la migliore interpretazione (in generale, non esiste più femminile e maschile) alla deliziosa ragazzina (nove anni) Sofia Otero, protagonista del catalano 20000 Species of Beees, un film che avrebbe meritato maggiore attenzione da parte della giuria.


Così come i trascurati Past lives-Vite passate, delicata opera prima della coreano-canadese Celine Song sulla possibilità di ritrovarsi a distanza di anni e di continenti (via Facebook of course) e il messicano Totem di Lila Aviles, commovente ritratto di famiglia con al centro il dramma di un giovane uomo malato.

Meritevoli di attenzione infine anche i film italiani, Disco Boy di Stefano Abbruzzese, Laggiù qualcuno mi ama e un piccolo gioiello, Le mura di Bergamo di Stefano Savona, presentato nella sezione Encounters.

 

 

Giovanni Martini

 
 

in rete dal 30 aprile 2023

 
 

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