agosto 2020

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 

  PILLOLE WESTERN                                         

 

classiche visioni

  Finisce il lockdown, ma la febbre-western non si placa...  È la volta di Winchester '73, prima collaborazione tra Anthony Mann e James Stewart!

Ezio Leoni

 
 

FESTIVAL DI UDINE                                         

 

26 giugno - 4 luglio 2020

Ha 22 anni il festival del cinema asiatico di Udine, ma non li dimostra.
La sua vitalità, frutto dell'entusiasmo di chi lo ha ideato e lo organizza e della vasta partecipazione di un pubblico prevalentemente giovane, ha avuto una conferma anche quest'anno, in cui non si è svolto dal vivo, ma in streaming.
Attraverso una piattaforma elaborata in collaborazione con Mymovie un pubblico di circa 3000 accreditati ha potuto seguire da casa le proiezioni di 46 film provenienti da 8 paesi asiatici, con collegamenti e interviste con registi e attori e uno spazio interattivo per commenti in diretta, votazioni, ecc. Come nelle edizioni dal vivo, la macchina organizzativa messa in piedi dal CEC di Udine e in particolare da Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche ha funzionato perfettamente e l'offerta di film si è dimostrata interessante con una equilibrata distribuzione di tipologie di generi, dalla commedia all'action movie, all'horror e anche qualche escursione nel film “d'autore”.
 

La giuria popolare e quella degli esperti (Black Dragon) ha assegnato:
Gelso D'Oro
- BETTER DAYS di Derek Kwok-cheung Tsang, Cina
secondo posto - VICTIM(S) di Layla Zhuquing Ji, Malesia
terzo posto - I WEIR DO di Ming-yi Liao, Taiwan.
Gelso bianco (miglior opera prima) - EXIT di Sang-geun Lee, Corea
Gelso Rosa (premio MyMovies) - I WEIR DO di Ming-yi Liao, Taiwan

I tre film vincitori appartengono al genere commedia, che sviluppa temi adolescenziali, coniugati in forma drammatica sia in BETTER DAYS che in VICTIM(S), che ruotano entrambi intorno al problema del bullismo e in forma di favola pop girata con l'I phone in I WEIR DO, il più interessante dal punto di vista linguistico.

All'interno di questo genere avrebbe meritato sicuramente maggiore attenzione il bel film di Ray Yeung SUK SUK, reduce di un grande successo ad Hong Kong, che racconta la storia d'amore tra un taxista settantenne e un padre single in pensione sullo sfondo di una Hong Kong anomala, fatta di case popolari, lungomari deserti, bagni pubblici, saune per gay. Yeung, che con questo film ha voluto rendere omaggio alla sua città, nella quale è tornato a girare, affronta con grande eleganza, naturalezza e sensibilità un tema doppiamente difficile come quello di un rapporto tra persone dello stesso genere e anziane, dimostrando come le dinamiche dell'innamoramento, dell'amore e del sesso non abbiano confini di genere e di età.

Tra gli action-movies ben due film coreani sono incentrati sul tema “catastrofe”: EXIT di Sang-geun Lee, vincitore del Gelso bianco come migliore opera prima e ASHFALL di Kim Byung-seo e Lee Hae-jun. Se quest'ultimo, pur mantenendo un ritmo incalzante per l'intera durata, non esce mai dalle dinamiche consolidate del genere (un eroe per caso riesce a fermare l'eruzione catastrofica di un vulcano, provocando una esplosione nucleare), EXIT ha il merito di collocare la vicenda, in questo caso la diffusione di matrice terroristica di una nube tossica, all'interno di un contesto di piccola borghesia coreana, con tutti i suoi rituali sociali (indimenticabili gli abiti da damine dell'ottocento che le signore indossano alla festa di compleanno), all'interno della quale si muove il giovane protagonista, che bollato da tutti come un perdente e un fallito, avrà il suo riscatto eroico, scalando in free climbing i grattacieli di Seul.

Sulle sfide individuali è basato anche l'ultimo lavoro di Johnnie To CHASING DREAM, un action movie adrenalinico, che fonde insieme due generi, quello del film “sportivo” e il musical, raccontando le storie incrociate di un campione di lotta e di una aspirante cantante in un melò assolutamente godibilissimo.

Il genere horror, sempre molto presente in questi paesi, già dagli anni passati aveva dimostrato una certa involuzione e una incapacità di uscire dai soliti schemi, con qualche rara eccezione, che in questa edizione potrebbe essere rappresentata dal film indonesiano IMPETIGORE di Yoko Anwar , che gioca molto sul folklore e le superstizioni locali nel raccontare le disavventure di una giovane donna che torna al paese natale per recuperare una casa appartenuta ai genitori, ignorando la maledizione che questa nasconde.
Se, per una precisa scelta il FEFF di Udine privilegia la produzione destinata al grande pubblico, è merito dei suoi organizzatori inserire ogni anno anche qualche piacevole eccezione costituita da film con pretese più autoriali, che possono soddisfare le aspettative di un pubblico più esigente e riservare delle interessanti scoperte. è il caso di LABYRINTH OF CINEMA di Obayashi Nobuhiko, l'ultimo lavoro del regista giapponese, scomparso poco dopo averlo girato, che costituisce una sorta di testamento poetico, sotto forma di racconto visionario, che si sviluppa all'interno di una sala prossima alla chiusura, dove con andamento onirico il regista ripercorre la storia del Giappone e contemporaneamente del cinema giapponese e non solo.

Una dichiarazione di poetica attraverso le immagini è anche quella presente in LIFE FINDS A WAY (2019) di Watanabe Hirobumi, la vera scoperta di questa edizione, in cui il giovane regista giapponese era presente con ben quattro film: PARTY 'ROUND THE GLOBE (2018), CRY (2019) e I'M REALLY GOOD (2020).

Quanto Obayashi è visionario e sofisticato nelle scelte stilistiche, tanto Watanabe sceglie la strada di un minimalismo estremo sia per quanto riguarda le storie raccontate (la vita di un allevatore di maiali in CRY e la quotidianità di una bambina in I'M REALLY GOOD) sia per l'essenzialità del linguaggio, fatto per lo più di camera fissa o di semplici carrellate a seguire. In LIFE FINDS A WAY il regista stesso, in crisi creativa e alla ricerca di finanziamenti, si autoriprende mentre, per lo più in macchina, discute con un suo collaboratore muto sulla sua idea di cinema. Attraverso questi dialoghi e una serie di gags da cinema delle origini, accompagnati dalla bella colonna sonora del fratello Yuji, emergono delle riflessioni su cosa significhi fare cinema oggi e sul cinema dei grandi maestri, in cui l'ironia nulla toglie alla profondità.

Lunga vita al FEFF!

Cristina Menegolli

 

  ALTRE VISIONI                                               

 

visioni online

Le mythe Dior - Matteo Garrone # Italia (14:43)
youtube

  La lungimiranza di Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica di Dior e la creatività di Matteo Garrone hanno dato vita a un bellissimo cortometraggio commissionato dalla maison Dior e prodotto da Archimede srl (casa di produzione fondata dallo stesso regista), con lo scopo di dare visibilità, in epoca di lockdown, alla nuova collezione Haute Couture Autunno-Inverno 2020-2021.
Prendendo ispirazione dalla classicità dei modelli da esporre, ricchi di drappeggi, che esaltano la leggerezza e la lucentezza dei tessuti, Garrone ricorre al suo immaginario fiabesco, già ammirato in Pinocchio e soprattutto ne Il racconto dei racconti e costruisce una storia, che è un inno alla bellezza e alla centralità della figura femminile nella storia dell'arte.
Una storia che parte proprio dagli atelier della celebre casa di moda francese, dove un gruppo di sarte è impegnato con ago e filo a realizzare dei modellini in miniatura degli abiti della nuova collezione. Uno stacco di montaggio ci introduce in un ambiente bucolico dove si aggirano due portantini, vestiti con delle livree che piacerebbero a Wes Anderson, con un baule a forma di casa di bambole, contenente piccoli manichini, che verranno mostrati via via agli abitanti di questo locus amoenus, fauni, ninfe, sirene, divinità, attratte con desiderio e curiosità dai capi di abbigliamento scelti per loro. Creature fantastiche, che appartengono alla mitologia, reinterpretate dalla visionarietà di Garrone per celebrare quel “mito” nel mondo della moda, che è la maison Dior.
Le location spettacolari della Riserva Naturale del Monte Rufeno, del Bosco del Sasseto e dei Giardini di Ninfa creano un'atmosfera sospesa nel tempo dove classicismo e contemporaneità si fondono in una armonia che rimanda al concetto greco di mìmesis. La musica, composta per il film da Paolo Buonvino, con le sue sonorità che ricordano Satie, contribuisce ad esaltare questa atmosfera ipnotica.

Se già la casa di bambole e i modellini in miniatura fanno leva sull'immaginario infantile di tutto il pubblico femminile, i molti riferimenti colti al cinema, alla pittura, alla musica, all'arte in generale, oltre a fornire stimoli interpretativi, contribuiscono a rafforzare l'estensione del concetto di creatività artistica al mondo della moda. Non mancano le (auto)citazioni cinematografiche, ma soprattutto le allusioni al mondo della pittura sono presenti in quasi tutte le inquadrature: dalla Nascita di Venere di Botticelli e Le disavventure di Sileno di Pietro di Cosimo ai preraffaelliti e ai surrealisti. Gli stessi vestiti, realizzati per la collezione, portano i nomi di alcune protagoniste dell'entourage surrealista, come Meret Oppenheim, Gala Eluard Dalì, Lee Miller, Dora Maar.
“L’immaginario di Matteo Garrone, così sognante, si lega anche alla storia di Dior. Dior, nel 1933 è stato il primo a fare una mostra di artisti surrealisti, questo mi ha portato anche a dei riferimenti di artiste che io amo molto: Lee Miller, Dora Maar, Leonora Carrington, Jacqueline Lamba e Dorothea Tanning. Le loro fotografie, così surrealiste, sono state un punto d’ispirazione per immaginare un modo diverso di fare la collezione”. (dalla presentazione di Maria Grazia Chiuri).
Ancora una volta Garrone si conferma come un artista che, per la versatilità e la cultura, risulta del tutto estraneo al provincialismo di molto cinema italiano.

Cristina Menegolli

 
 

in rete dal 4 agosto 2020

 
 

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