febbraio 2020

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 

  Scolpire il tempo                                                

10 febbraio - 18 marzo 2020

  Scolpire il tempo? Il termine scolpire sembrerebbe adattarsi più a forme e a spazi, ma per Tarkovskij il binomio spazio-tempo è una centralità del suo cinema: è il tempo che definisce lo spazio, che scolpisce luoghi e ambienti, subordinandoli al flusso della memoria e dei sogni... Così come non possiamo che definire scultorea la sua potenza espressiva, magniloquente come il magma della narrazione, sospesa tra stagnazione introspettiva e flussi di coscienza >>


Ezio Leoni

 
 

  Alla scoperta del cinema coreano

 16 marzo - 6 aprile 2020

  Sebbene i quattro inattesi Oscar a Parasite (Bong Joon-ho, 2019) abbiano sancito, quantomeno a livello mediatico, il riscatto di una cinematografia sinora fin troppo ignorata dalla nostra distribuzione, non vi era certo bisogno di attendere gli esiti della kermesse losangelina per decretare l'indiscusso valore di un'industria, quella sudcoreana, che, in appena un ventennio, ha saputo affrancarsi dalla dipendenza dalle produzioni estere per affermare la vastità e la ricchezza di una ispirazione che ha pochi eguali nell'orizzonte del cinema contemporaneo. Disciplinato dagli ordini di vigilanza statunitensi sin dal termine della guerra di Corea e forzato, poi, da due dittature militari, il cinema di Seul ha conquistato un crescente spazio nel mercato locale e internazionale a partire dalla fine degli anni 90 in virtù di una quadruplice concomitanza di fattori: l'avanzare di una nouvelle vague capace di rileggere in termini personali l'eredità del cinema taiwanese (si vedano gli esordi di Lee Chang-dong con Green Fish e del rohmeriano Hong Sang-soo con The Day a Pig Fell Into the Well); l'audacia e la vitalità di investitori disposti a sovvenzionare produzioni di genere che trovassero radici nella cultura coreana anziché farsi calco pedissequo dei modelli occidentali (esemplare Il buono, il matto e il cattivo di Kim Ji-woon); il ricorso a una deliberata spregiudicatezza formale e libertà tematica dopo anni di frustranti restrizioni (i barocchismi di montaggio in Oldboy di Park Chan-wook); la curiosità internazionale per una cinematografia ancora poco frequentata che raccoglie tutte le aspirazioni occidentali verso il cinema asiatico, senza ripetere le forme delle ormai note produzioni orientali (cinesi e giapponesi, anzitutto).
Al cinefilo spaesato che volesse approfondire non una qualche valida cinematografia, ma "la" cinematografia del nostro tempo, non dubiteremmo, allora, di raccomandare quella sudcoreana. Se, poi, il medesimo cinefilo spingesse la sua curiosità al punto di esigere una lista ordinata di nomi e titoli, eccoci d'un tratto nei guai. Parte di tanta ricchezza risiede, infatti, nel deliberato amalgama di istanze divergenti, nel ricombinarsi di spunti di genere e costrutti autoriali, in un dialogo incessante tra le pressioni dell'industria e le spinte della più libera immaginazione. Una condizione, questa, che ci riporta idealmente ai fasti del cinema italiano degli anni 70 o alla coeva maturazione, sull'altra sponda dell'Atlantico, dei primi moti della New Hollywood. Sebbene si possa tracciare una comoda linea di demarcazione tra cinema di consumo e cinema d'arte nell'industria coreana - per cui il celebrato zombie-movie Train to Busan (Yeon Sang-ho, 2016) pertiene alla prima categoria e l'ascetico Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera (Kim Ki-duk, 2003) alla seconda - è altresì indubbia l'inclinazione a un reciproco sconfinamento. E se, da un lato, i codici del genere - poliziesco, horror, commedia, azione - informano la messa in scena di soggetti ambiziosi e fortemente personali, dall'altro il ricorso a fantasiosi virtuosismi e la cura dei caratteri infondono un insolito spessore anche agli intrecci più popolari.
Nel capolavoro Memories of Murder (Bong Joon-ho, 2003) l'impiego dei moduli espressivi del noir e del thriller costituisce il grimaldello con cui il regista squarcia il velo dei fatti inscenati per darci una sublime ricognizione del senso di inquietudine, disorientamento e precarietà che avvolse la Corea al tempo del regime militare di Chun Doo-hwan; sul versante opposto il talentuoso Na Hong-jin inframmezza le ritmiche accensioni di violenza nel suo thriller The Yellow Sea (2010) con una messa in scena di realistica esattezza delle difficili condizioni in cui versa la comunità sino-coreana espatriata in Cina, infondendo a una generica storia di tradimento e rivalsa un'impressione di disperata concretezza. O si veda, ancor più emblematica, la teen comedy campione d'incassi Conduct Zero (2002) dell'allora esordiente Cho Keun-sik, che riscatta un ritratto fin troppo ammiccante e sessista della gioventù coreana degli anni 80, lavorando brillantemente sullo slittamento dei generi - dal film di arti marziali al gangster movie - e la gestione degli spazi per orchestrare momenti di irresistibile comicità.

Lady Vendetta

Time

Madre

Poetry

Impresa donchisciottesca, dunque, quella di circoscrivere nel breve spazio di una rassegna un campione di titoli che dia ragione di una cinematografia tanto vasta. Senza alcuna pretesa di esaustività, i quattro film selezionati hanno lo scopo di introdurre lo spettatore alla varietà di forme, stili e influenze dell'odierno cinema di Seul, accostando a nomi da tempo celebrati nei maggiori festival internazionali, altri di più recente affermazione.

Matteo Pernini

 
 
 

in rete dall'8 marzo 2020

 
 

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