MAY
YOU LIVE IN INTERESTING TIMES...
La 58° Biennale Arte mette "in mostra" due importanti registi cinematografici: Alexander Sokurov e Apichatpong
Weerasethakul.
Il primo, assieme all'artista teatrale Alexander
Shishkin Hokusai, ha allestito il padiglione russo, uno dei più
affascinanti dell'intera Biennale, Apichatpong Weerasethakul (Tropical Malady,
Lo zio Boonmee che si ricorda delle
vite precedenti) figura invece tra gli artisti invitati dal
curatore Ralph Rugoff ed espone sia ai Giardini che all'Arsenale.
Se il regista thailandese ha sempre oscillato tra la realizzazione di
lungometraggi (attività per la quale è più noto al pubblico
occidentale) e quella di installazioni artistiche, presentate peraltro
a importanti manifestazioni internazionali come Documenta a Kassel,
Alexander Sokurov si misura per la
prima volta con questo, per lui, nuovo linguaggio, su un tema però già
praticato, quello del museo come luogo di salvezza.
L'Arca, che dalle sale dell'Ermitage ci aveva trascinati
all'interno del Louvre per poi dirigersi verso il Prado e il British
Museum (che dovrebbero concludere la tetralogia museale pensata da
Sokurov) sembra aver fatto una sosta a Venezia per riprendere la
riflessione sul ruolo conservativo del museo e nello stesso tempo sulla
necessità dell'arte di stare dentro al proprio tempo. Il direttore del
museo dell'Ermitage Michail Piotrovsky, a cui i Russi quest'anno
avevano affidato la curatela del padiglione nazionale, nel dare
l'incarico a Sokurov, ha dichiarato: “L’idea del progetto è quella
di delineare l’influenza che un museo universale – come custode della
cultura mondiale – ha su un artista contemporaneo”.
Il progetto, intitolato Lc, 15; 11-32, prende spunto dalla parabola del figliol
prodigo narrata nel Vangelo di Luca e rappresentata in un quadro di
Rembrand del 1668, che costituisce uno dei capolavori più famosi e
visitati del Museo. Il cinema di Sokurov (Madre e figlio, L'Arca
russa, Faust, Francofonia) è immersivo, capace di risucchiare lo
spettatore all'interno del mondo da lui creato, un'analoga sensazione
prova il visitatore nel momento in cui mette piede all'interno del
padiglione russo. Qui non è con il movimento, ma con la composizione
delle spazio che Sokurov trasmette l'impressione di essere entrati in un altro
mondo, che ti avvolge dalle pareti al pavimento, al soffitto, un
mondo buio e inquietante, che ricorda le atmosfere del Faust. Sokurov ha ricreato contemporaneamente in un unico spazio
la sala del museo e lo studio dell'artista, dove campeggiano due
installazioni video, una che riporta particolari del quadro e una in
cui dei soldati da un edificio diroccato sparano verso l'esterno, la parete di fondo è un grande specchio. Un luogo sacro,
dedicato all'arte, che si difende dai tumulti e dalle violenze
dell'esterno o una riflessione sul contrasto tra il significato della
parabola e la volontà opposta di tenere lontano il diverso?
Scendendo al piano sottostante l'impressione di disorientamento è
aumentata dal fatto che le pareti, su cui campeggiano riproduzioni di
pittura fiamminga, impercettibilmente si muovono e una serie di
manichini all'improvviso si anima. È l'omaggio che Alexander
Shishkin Hokusai ha voluto fare alla magia dei complessi congegni
meccanici presenti nel Palazzo d'Inverno, di cui tutti ricordiamo il
Pavone Meccanico immortalato in Ottobre da Ejzenstejn.
Nell'ultimo film di
Apichatpong Weerasethakul, visto al FEFF di Udine,
The song of the city (un episodio di Ten Years Thailand) c'è un personaggio che vende apparecchi per
l'ossigeno, che dovrebbero servire a dormire meglio, per dimenticare
l'esistente. Il tema del sonno, del sogno, come spazio di esplorazione,
liberazione e “pacata sovversione”, nei confronti delle difficoltà
della vita, spesso affrontato dal regista thailandese, è anche al
centro dell'installazione intitolata Syncronicity da lui curata, in collaborazione con
l'artista giapponese Tsuyoshi Hisakado, per l'Arsenale, opera
di grande impatto emotivo, in cui si ritrovano tutte le suggestioni
presenti nei suoi film: il mistero, la compresenza di altri mondi...
Il sonno, come soglia, acquisisce una forma
fisica nell'ambiente creato dai due artisti attraverso una perfetta
interazione tra luce, suono e schermo. La stanza a cui si accede è
divisa da una parete sghemba, che crea subito un effetto perturbante,
su di essa è proiettato il video di Apichatpong, in cui una donna giace
irrequieta su un letto nella foresta, sogna e il suo corpo prende
fuoco. Un singolare foro al centro dello schermo piatto fa intravvedere
alcune lampadine che oscurano e illuminano una lastra di alluminio
satinato in dialogo con la lampada del proiettore, quasi fossero
controllate dagli spiriti. Dietro la parete sembra di penetrare in una
caverna, che potrebbe essere dentro il sogno al quale crediamo di assistere:
l'otturatore del proiettore scatta a intervalli e la scena cambia,
mentre i sogni mutano da un'immagine all'altra.
Al padiglione centrale dei Giardini si possono invece ammirare delle
fotografie appartenenti al periodo trascorso dall'artista in Colombia,
paese che egli sente affine alla Thailandia: una foresta, la schiena di
un uomo costellata da punture di zanzare e, la più impressionante,
Ghost Teen, il ritratto di un uomo con una maschera
inquietante, che nasconde un'altra vita, o molteplici...
Cristina Menegolli
|