A
qualche settimana dalla chiusura della
16ma
Mostra Internazionale di Architettura
della Biennale di Venezia è possibile stilare un bilancio di
questa
edizione: i dati diffusi parlano di un incremento del 6% dei
visitatori, di cui il 50% ha meno di 26 anni, confermando il trend
positivo della manifestazione. Il presidente Baratta ormai alla
guida da svariati anni ha sempre cercato di trovare un legame fra
l'architettura e la sua implicazione sociale. Dopo l'edizione del
2016 curata da Alejandro Aravena che si è focalizzata sulle
battaglie dell'architettura militante e coinvolta in processi
partecipativi, l'edizione del 2018 è stata affidata al duo di
architette irlandesi Yvonne Farrel e Shelly McNamara, legato
all'architettura come disciplina attraverso sia un'intensa carriera
professionale che il lavoro di docenza sviluppato all'Accademia di Mendrisio.
Il tema è stato annunciato a Giugno 2017 attraverso il manifesto del
titolo:
Freespace.
La proposta fatta ai partecipanti è stata quella di
presentare architetture che sappiano valorizzare le qualità spaziali
che danno ricchezza e qualità agli interventi, anche privati, e che siano
in
grado
di riconoscere come clienti paritari non solo i finanziatori del
progetto ma anche i cittadini che vi entrano in contatto alla scala
urbana e la Terra stessa.
Le risposte sono state estremamente varie, e hanno visto premiati
Eduardo Souto de Moura
con il
Leone d'oro
e
Architecten de Vylder Vinck Taillieu
con il
Leone d'argento.
Menzioni speciali sono state assegnate ad
Andra Matin,
che ha presentato uno studio sulle tipologie abitative vernacolari
dell'Indonesia, e allo studio
RMA ARCHITECTS,
che ha esposto tre progetti realizzati in India “attenuando con
delicatezza le barriere e le gerarchie sociali”.
Professoresse dell'Accademia
di Mendrisio, le Grafton
hanno reso omaggio al corpo docente di cui fanno parte invitando i
colleghi ad esporre, attraverso la sezione fuori concorso “the
practice of teaching” in mostra alle corderie, la relazione di
influenza reciproca che si sviluppa tra la libera professione e
l'insegnamento.
Per il padiglione centrale dei giardini è stata immaginata un'altra
sezione speciale del nome
Close Encounters
attraverso la quale dei giovani studi di architettura irlandesi si sono
confrontati con i progetti iconici del passato, che fanno parte
della storia dell'architettura.
Le capacità progettuali delle Grafton si sono rivelate in
particolare nel rapporto con le sedi espositive: la comprensione
delle caratteristiche degli spazi e la volontà di esaltare
l'atmosfera della città di Venezia si sono evidenziate in modo
particolare nella sede dell'Arsenale. Completamente svuotata dalle
partizioni che solitamente vengono utilizzate per l'allestimento,
per la prima volta è stato possibile ammirare con un colpo d'occhio
unico le
Corderie
nella loro totalità, illuminate dalla luce naturale che filtrava
attraverso le finestre e con gli effetti della gibigiana sui
soffitti.
Vincitore
del
Leone d'oro come
partecipazione nazionale
è stata la Svizzera, che ha ricostruito ambienti domestici a diverse scale proponendo ai
visitatori un “tour della casa” che da virtuale diventa reale.
Menzione speciale
come Partecipazione Nazionale è andata alla
Gran Bretagna
che attraverso la collaborazione fra lo studio Caruso St John e
Marcus Taylor ha intrapreso una riflessione sul concetto di isola,
come luogo di rifugio o di esilio, svuotando la sede storica del
padiglione e allestendo una piattaforma sulla sua copertura.
Grande successo ha avuto il padiglione del Vaticano, alla sua prima
partecipazione alla Mostra d'Architettura, curato da Francesco Dal
Co. Nell'isola di San Giorgio sono state realizzate
11 cappelle
da altrettanti celebri architetti provenienti da tutto il mondo, tra
cui Norman Foster e Souto de Moura solo per citarne alcuni.
Tra gli eventi che hanno caratterizzato questa edizione, vuoi per la
presenza di due curatrici donne, vuoi per il dibattito nato dal
movimento #TimesUp, è stato il flash mob organizzato durante il
vernissage sul tema della parità di genere nel campo
dell'architettura. Organizzato nella sede dei Giardini da Caroline
James (che già aveva indetto con Arielle Assouline-Lichten una
petizione per il riconoscimento a Denise Scott Brown del Pritzker
Architecture Prize), ha visto la curatrice Martha Thorne leggere il
manifesto di VOW
(>>Voices
of Women<<) per il
raggiungimento di maggiore equità, riconoscimento, correttezza e
inclusività di donne, persone di colore e altre voci marginalizzate
nel campo dell'architettura e del design.
Uno sguardo sul mondo che esca dei confini nazionali ed europei
mostra una costante crescita della popolazione, l'abbandono delle
aree rurali, la proliferazione urbana e l'incombente problema
ambientale come fenomeni giganteschi su cui misurarsi, che la
cultura architettonica ed urbanistica non può trascurare. Baratta
continua a darci strumenti per interrogarci sul nesso tra
l'architettura e le sue implicazioni sociali, come nocciolo del
problema proposto in questi anni ai curatori. Un punto esplorato anche nelle edizioni di
Arte,
dal nuovo umanesimo con
Viva arte viva
di Christine Macel alla prossima
May you live in interesting times
di Ralph Rugoff, sul confronto ineludibile con una contemporaneità
in rapido cambiamento.
È del 19 Dicembre la notizia della nomina da parte del
presidente Paolo Baratta del curatore della
17ma
Mostra
(2020),
Hashim Sarkis,
architetto di origine libanese ora preside di facoltà della
School of Architecture and Planning al MIT: “Un curatore
particolarmente sensibile ai temi e alle urgenze che la
società, nelle diverse contrastanti realtà, pone per il nostro
abitare”.
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Emma Biscossa
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