Aveva suscitato molte perplessità l’anno scorso
la nomina a direttore della
Berlinale dell’inglese Tricia Turtle. Persona
sì di grande cultura ma la cui precedente esperienza nel
campo era stata la direzione del London Film Festival:
non certo un festival di competizione e di ricerca,
piuttosto una vetrina di anteprime per far conoscere al
pubblico inglese i migliori film passati nei grandi
Festival. E invece la Turtle ha saputo dar vita ad una
rassegna di livello che non ha fatto rimpiangere la
gestione precedente, grazie ad alcune partecipazioni
d’eccellenza e un livello medio buono (qualche delusione
andava messa comunque in preventivo).
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i film in concorso
(in sei giorni di permanenza "fanno" quasi quattro film
al giorno), che lasciano quindi poco spazio per le
rassegne collaterali quali
Panorama e Forum,
da cui in passato sono pure uscite opere importanti,
nonché per la nuova sezione
Perspectives,
istituita quest’anno e riservata alle opere prime.
Ma andiamo alla cronaca.
L’Orso d’oro
per il miglior film va a
Drommer,
Sogni, del norvegese Dag Johann Haugerud, regista
rivelazione dell’ultimo anno con la sua trilogia
Sex,
Love e appunto questa terza parte
Dreams, in cui la
protagonista Johanne si innamora della professoressa di
francese Johanna e scrive un diario che la mamma e la
nonna scrittrice vorrebbero diventasse un libro da
pubblicare. Film dolce, ben scritto e ben girato (a
parte l'eccesso di voce fuori campo), ma la cui vittoria
ci trova solo parzialmente d’accordo.

Orso d’argento,
Gran Premio della Giuria a
O ultimo azul - The Blue Trail
del brasiliano Gabriel Mascaro, laddove in un Brasile
distopico il governo decide di deportare in speciali”
colonie di riposo” tutti i maggiori di 75 anni, per il
bene loro e della nazione. Idea non nuova (c’era stato
negli anni 70 I viaggiatori della sera di Ugo
Tognazzi) con una trama costruita attorno alla figura
della volitiva Teresa che, al grido di “non ho ancora
viaggiato abbastanza", si ribella e si dà alla fuga.
Il film si trasforma allora in un road movie sui
generis, con le strade sostituite dalle vie d’acqua
dell’Amazzonia e gli incontri con i personaggi più
diversi che aiutano Teresa nella sua ricerca di libertà.
Finale felice e ottima l’interpretazione di Rodrigo
Santoro.

Orso d’argento,
miglior regia a
Living the Land,
del cinese Hugo Meng, riuscitissimo ritratto della Cina
rurale alla vigilia del boom economico, ma ancora sotto
lo stretto asfissiante controllo del partito comunista.

Orso
d’argento, migliore interpretazione per
Rose Byrne in If I Had Legs
I Would Kick You: un premio certo
meritato, ma come non leggerlo come uno scippo al
magnifico protagonista di
Blue Moon, Ethan Hawke? Meglio e andata
al suo antagonista nel film, Andrew Scott, che si è
assicurato
l'Orso d’argento
per il miglior attore non protagonista.
A Radu Jude per Kontinental
'25 è andato
Orso d’argento,
miglior sceneggiatura, ma niente ci toglie
dalla testa che questo premio sia usato dalle varie
giurie per dare un contentino a film che non si ha il
coraggio di premiare altrimenti (vedi l’esempio recente
di Ainda estou aqui
di Walter Salles a Venezia). Altrettanto dicasi del
premio
Outstanding
artistic
contribution (andato al film francese
La tour de glace)
che nessuno ha ben capito cosa sia…
Certo
non sono mancati i film deludenti e in ogni caso non
all’altezza di un festival come la Berlinale. Primo fra
tutti l’attesissimo Mickey
17, del coreano Bong Joon-Ho, trionfatore
di Cannes (2019) e del botteghino in tutto il mondo con
il suo Parasite. Questo vorrebbe essere un film di
fantascienza con al centro un giovane, Mickey appunto,
che per bisogno di denaro accetta di iscriversi come
expendable cioè sacrificabile in una orrenda setta volta
alla conquista di mondi extraterrestri (siamo intorno al
2050ì). Purtroppo Mickey 17,
nonostante la mano sicura del regista, si rivela una
accozzaglia di cose già viste: i replicanti, i trapianti
di memoria, le astronavi spaziali, i pianeti da
colonizzare, le lotte all’ultimo sangue
tra
robot e mostri vari. Il tutto per le ormai consuete
strazianti due ore e mezza. Ma peggio è senz’altro
Reflection On a Dead Diamond
dove il duo belga Helen Cattet e Bruno
Forzani (sembra non nuovi a imprese del genere) mettono
insieme, partendo dalla misteriosa scomparsa di una
ragazza il detective in pensione Fabio Testi, residente
in Costa Azzurra, immerge lo spettatore in un
caleidoscopio di immagini senza senso (lo chiamano
pastiche) forse ispirate ai B-movies genere 007 degli
anni settanta (ma qualcuno ha visto un omaggio al mondo
di Diabolik): così ecco, su split-screen da 2 a 4
schermi, scene di violenza ingiustificate, maschere di
gomma , automobili con mitragliatrici, anelli con poteri
magici e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno ha
azzardato un paragone con Quentin Tarantino, ma… altra
classe. Il tutto condito da una musica assordante.
Inguardabile.
Se c'è da essere comunque soddisfatti per questa
trasferta berlinese il merito va e a due film
straordinariamente ben riusciti:
Blue Moon e
Kontinental '25
di Radu Jude, avrebbero strameritato l’Orso d’oro,
peccato che la giuria di Todd Hayens gli abbia preferito
Dreams.
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