marzo 2025

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

n° 101
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 

FESTIVAL DI BERLINO                                        

 

13-23 febbraio 2025

  Aveva suscitato molte perplessità l’anno scorso la nomina a direttore della Berlinale dell’inglese Tricia Turtle. Persona sì di grande cultura ma la cui precedente esperienza nel campo era stata la direzione del London Film Festival: non certo un festival di competizione e di ricerca, piuttosto una vetrina di anteprime per far conoscere al pubblico inglese i migliori film passati nei grandi Festival. E invece la Turtle ha saputo dar vita ad una rassegna di livello che non ha fatto rimpiangere la gestione precedente, grazie ad alcune partecipazioni d’eccellenza e un livello medio buono (qualche delusione andava messa comunque in preventivo). 22 i film in concorso (in sei giorni di permanenza "fanno" quasi quattro film al giorno), che lasciano quindi poco spazio per le rassegne collaterali quali Panorama e Forum, da cui in passato sono pure uscite opere importanti, nonché per la nuova sezione Perspectives, istituita quest’anno e riservata alle opere prime.
Ma andiamo alla cronaca.
L’Orso d’oro per il miglior film va a Drommer, Sogni, del norvegese Dag Johann Haugerud, regista rivelazione dell’ultimo anno con la sua trilogia Sex, Love e appunto questa terza parte Dreams, in cui la protagonista Johanne si innamora della professoressa di francese Johanna e scrive un diario che la mamma e la nonna scrittrice vorrebbero diventasse un libro da pubblicare. Film dolce, ben scritto e ben girato (a parte l'eccesso di voce fuori campo), ma la cui vittoria ci trova solo parzialmente d’accordo.

Orso d’argento, Gran Premio della Giuria a O ultimo azul - The Blue Trail del brasiliano Gabriel Mascaro, laddove in un Brasile distopico il governo decide di deportare in speciali” colonie di riposo” tutti i maggiori di 75 anni, per il bene loro e della nazione. Idea non nuova (c’era stato negli anni 70 I viaggiatori della sera di Ugo Tognazzi) con una trama costruita attorno alla figura della volitiva Teresa che, al grido di “non ho ancora viaggiato abbastanza", si ribella e si dà alla fuga. Il film si trasforma allora in un road movie sui generis, con le strade sostituite dalle vie d’acqua dell’Amazzonia e gli incontri con i personaggi più diversi che aiutano Teresa nella sua ricerca di libertà. Finale felice e ottima l’interpretazione di Rodrigo Santoro.

Orso d’argento, miglior regia a Living the Land, del cinese Hugo Meng, riuscitissimo ritratto della Cina rurale alla vigilia del boom economico, ma ancora sotto lo stretto asfissiante controllo del partito comunista.

Orso d’argento, migliore interpretazione per Rose Byrne in If I Had Legs I Would Kick You: un premio certo meritato, ma come non leggerlo come uno scippo al magnifico protagonista di Blue Moon, Ethan Hawke? Meglio e andata al suo antagonista nel film, Andrew Scott, che si è assicurato l'Orso d’argento per il miglior attore non protagonista.
A Radu Jude per Kontinental '25 è andato Orso d’argento, miglior sceneggiatura, ma niente ci toglie dalla testa che questo premio sia usato dalle varie giurie per dare un contentino a film che non si ha il coraggio di premiare altrimenti (vedi l’esempio recente di Ainda estou aqui di Walter Salles a Venezia). Altrettanto dicasi del premio Outstanding artistic contribution (andato al film francese La tour de glace) che nessuno ha ben capito cosa sia…


Certo non sono mancati i film deludenti e in ogni caso non all’altezza di un festival come la Berlinale. Primo fra tutti l’attesissimo Mickey 17, del coreano Bong Joon-Ho, trionfatore di Cannes (2019) e del botteghino in tutto il mondo con il suo Parasite. Questo vorrebbe essere un film di fantascienza con al centro un giovane, Mickey appunto, che per bisogno di denaro accetta di iscriversi come expendable cioè sacrificabile in una orrenda setta volta alla conquista di mondi extraterrestri (siamo intorno al 2050ì). Purtroppo Mickey 17, nonostante la mano sicura del regista, si rivela una accozzaglia di cose già viste: i replicanti, i trapianti di memoria, le astronavi spaziali, i pianeti da colonizzare, le lotte all’ultimo sangue tra robot e mostri vari. Il tutto per le ormai consuete strazianti due ore e mezza. Ma peggio è senz’altro Reflection On a Dead Diamond dove il duo belga Helen Cattet e Bruno Forzani (sembra non nuovi a imprese del genere) mettono insieme, partendo dalla misteriosa scomparsa di una ragazza il detective in pensione Fabio Testi, residente in Costa Azzurra, immerge lo spettatore in un caleidoscopio di immagini senza senso (lo chiamano pastiche) forse ispirate ai B-movies genere 007 degli anni settanta (ma qualcuno ha visto un omaggio al mondo di Diabolik): così ecco, su split-screen da 2 a 4 schermi, scene di violenza ingiustificate, maschere di gomma , automobili con mitragliatrici, anelli con poteri magici e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno ha azzardato un paragone con Quentin Tarantino, ma… altra classe. Il tutto condito da una musica assordante. Inguardabile.

Se c'è da essere comunque soddisfatti per questa trasferta berlinese il merito va e a due film straordinariamente ben riusciti: Blue Moon e Kontinental '25 di Radu Jude, avrebbero strameritato l’Orso d’oro, peccato che la giuria di Todd Hayens gli abbia preferito Dreams.

Giovanni Martini

 
 

in rete dal 30 marzo 2025

 
 

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