Senza lasciare traccia

La 15enne Tom vive clandestinamente con il padre nella foresta che confina con Portland, in Oregon. Limitando il più possibile i loro contatti con il mondo moderno, padre e figlia formano una famiglia atipica e molto unita. Un incontro casuale li poterà allo scoperto, ed entrambi saranno costretti a lasciare il parco per essere affidati agli agenti dei servizi sociali. Proveranno ad adattarsi alla nuova situazione, fino a che una decisione improvvisa li porterà ad affrontare un pericoloso viaggio in mezzo alla natura più selvaggia, alla ricerca dell’indipendenza assoluta. Un ritorno alla terra radicale, un manuale di sopravvivenza a fronte di un’ideale utopico. L’occasione per confrontarsi con un’America diversa e un cinema capace di raccontarla.

 

 

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Haiku sull’albero del prugno

 

Tokyo 1943: l’antropologo italiano Fosco Maraini e la moglie Topazia Alliata rifiutano di firmare per la Repubblica di Salò. A seguito della loro scelta vengono mandati a Nagoya in un campo di Prigionia con le loro tre figlie Dacia, Yuki e Toni. Oggi: Mujah, la nipote, rivive l’esperienza della sua famiglia e la loro eredità portando i loro ricordi alla vita come ha fatto lei con il suo viaggio in Giappone.

 

 

 

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Opera senza autore

Con una storiografia romanzata il film racconta tre epoche della Germania del ‘900 partendo dalla follia hitleriana e arrivando alla fine degli anni ’60: tutto attraverso l’intensa vita dell’artista Kurt Barnert, dal suo amore appassionato per la zia Elisabeth, a quello maturo per Ellie, figlia di un ex medico nazista che è riuscito a ridarsi una rispettabilità nella nuovo corso comunista, ma che non ha perso la recondita malvagità. La vivacità dell’ambiente artistico di Düsseldorf Kurt troverà la quadra per la sua carriera, per la sua vita sentimentale e per un respiro umano rasserenante nel ricordare il passato e affrontare il futuro.

  

Werk ohne Autor
Germania 2018 – 3h 8′

 VENEZIA – Con Opera senza autore il tedesco Florian Henckel von Donnersmarck, dopo la sfortunata incursione nel thriller con The Tourist, torna al melo su sfondo storico, genere in cui è più a suo agio e che gli aveva portato un Oscar nel 2007 con Le vite degli altri.
Anche questo è un film che lo spettatore può amare, a partire dalla vicenda, così ricca di colpi di scena da sfiorare in qualche momento il feuilleton: si ispira invece a fatti reali della vita di uno dei più famosi e quotati artisti contemporanei, Gerhard Richter (classe 1932).

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Charlie Says

Un impietoso ritratto di Charlie Manson e della sua contagiosa follia. Lo chiave di lettura è affidata a Karlene Faith, un’assistente sociale alla quale sono affidate tre giovani assassine della sua setta, condannate all’ergastolo. L’eccidio di Cielo Drive, in cui fu brutalmente uccisa Sharon Tate (moglie di Roman Polanski) fu un dramma che sconvolse l’America e il mondo e lo sguardo di Mary Harron indaga con sgomenta umanità sulle aberranti dinamiche della comunità “femminile” plagiata dal carismatico Charlie: quale il suo potere sulle giovani adepte? Come riuscì ad annullare la loro personalità e a trasformarle in brutali omicide?

 

Usa 2018 (104′)

 VENEZIA – “9 agosto 1969: il giorno che il ‘68 finì”. Con questa frase, a caratteri cubitali su fondo nero, si apre Charlie Says (Dice Charlie), il nuovo film della regista Mary Hatton, (American Psycho, Ho ucciso Andy Warhol) presentato nella sezione Panorama.

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I bambini della Grande Guerra

Centenari e ultracentenari, e figli di soldati che combatterono al fronte, raccontano la Prima Guerra mondiale dal loro punto di vista. Sono le eccezionali e irripetibili testimonianze raccolte seguendo la linea del fronte dall’Isonzo all’Adige.
La guerra rappresentò per questi bambini di allora l’opportunità di assaggiare la marmellata degli inglesi, di procurare le lumache ai soldati francesi, di veder volare il dirigibile Zeppelin, di conoscere D’Annunzio ed Hemingway, di assistere alle violenze e alle atrocità della guerra, di sopravvivere alla terribile influenza spagnola… Ma anche di sperimentare la fame e la sofferenza, la rabbia e la morte, la speranza e il riscatto e, finalmente, la pace. Un grande messaggio di pace e di riconciliazione con in evidenza il ruolo avuto dalle donne rimaste a casa ad accudire i figli, tra violenze e privazioni.

 

 

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Il presidente

Durante un vertice di Presidenti latinoamericani presso La Cordillera, in Cile, in cui si formano alleanze e strategie geopolitiche, il Presidente dell’Argentina Hernán Blanco si ritrova a vivere un dramma che potrebbe influire sulla sua situazione politica e familiare. A causa di suo genero, infatti, è implicato in un caso di corruzione. Decide quindi di far venire sua figlia Marina al summit, così da trovare protezione e guadagnare tempo per negoziare una via d’uscita, ma il summit darà anche occasione a padre e figlia di scavare nel reciproco passato… Un film d’impianto tragico, quasi scespiriano che, in un estraniante ambiente innevato, prova a scongelare i dilemmi esistenziali e le responsabilità politiche.

 

 

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La diseducazione di Cameron Post

In una cittadina del Montana, nel 1993, la giovane Cameron Post è sorpresa a baciarsi con una ragazza durante il ballo della scuola e viene spedita in un centro religioso, God’s Promise, in cui una terapia di riconversione dovrebbe “guarirla” dall’omosessualità. Insofferente alla disciplina e ai dubbi metodi del centro, Cameron stringe amicizia con altri ragazzi, finendo per creare una piccola e variopinta comunità capace di riaffermare con orgoglio la propria identità. Toni sfumati e precisione descrittiva dei personaggi per una critica senza esitazioni ad una mentalità oppressiva e ad una spiazzante dinamica “diseducativa”.


The Miseducation of Cameron Post
USA 2018 (90′)
SUNDANCE FESTIVAL: gran premio della giuria

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La Flor

Argentina 2018 – 808′

 LOCARNO – Il festival ticinese non è alieno dai film-monstre essendo stato tra i primi a far conoscere (e anzi a premiare col Pardo d’oro 2014) gli interminabili film del filippino Lav Diaz. Ma qui si è raggiunto il top, obbligando gli organizzatori ad uno sforzo anche logistico. Per arrivare alle quasi 14 ore di proiezione, la maratona è stata suddivisa in tre tappe di quattro-cinque ore ciascuna (con diritto a pausa fisiologica), ma allo stesso quasi nessuno è riuscito a vederlo proprio tutto (gli spettacoli cadevano negli ultimi tre giorni della rassegna, quando notoriamente il livello di attenzione e pazienza degli addetti ai lavori precipita).

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Vox Lux

Il film segue da vicino l’ascesa di Celeste dalle ceneri di un’immensa tragedia nazionale a superstar pop. Il film abbraccia un arco di tempo di diciotto anni, dal 1999 al 2017, delineando alcuni importanti momenti culturali attraverso lo sguardo della protagonista.


Usa 2018 – 1h 50′

 VENEZIA – Di suono, di luce. E di morte. Il cinema è un’arte composta di elementi primari e fondamentali e della consapevolezza che il loro compiersi sia frutto di un decesso annunciato. Ogni fotogramma, ogni bit, ogni vibrazione, cristallizza un istante di tempo, di vita, e li condanna a una reiterazione fantasmatica e illusionistica in cui il mezzo cinematografico decreta la fine annunciata dello scorrere del tempo. Sembra che per il giovane attore, e qui regista, Brady Corbet, il tempo, e la storia, sia una macchina infernale da scandagliare ed elaborare attraverso biografie inventate e plausibili di personaggi del loro tempo, di un tempo portatore di incertezze, mitologie, casualità.

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What You Gonna Do When the World’s on Fire?

New Orleans, 2017: Judy cerca di salvare il suo bar nel quartiere nero di Tremé, nonostante i proprietari lo vogliano far chiudere; due fratellini cercano il giusto modo di crescere, aiutati dalla madre che vuole tenerli lontani dalla strada e dai guai che facilmente si abbattono sulle vite dei giovani di colore; i militanti del Nuovo Partito delle Pantere Nere per l’Autodifesa cercano giustizia per le vittime di omicidi a sfondo razziale, a partire da Alton Sterling freddato l’anno prima da due poliziotti bianchi..


Italia/Usa/Francia 2018 – 2h 3′

 VENEZIA – L’ultimo documentario di Roberto Minervini si pone già dal titolo come un’incisiva interrogazione aperta al mondo. Un quesito di certo non retorico e di difficile manipolazione, che tra le mani del regista marchigiano ormai trapiantato in America, cerca una modellazione, una messa in forma che diviene prima di tutto una voce fortissima, quella della comunità afroamericana di New Orleans, relegata per sua natura a una marginalità, a una schiavitù, a un’inconsistenza fisica e ideologica dal dominio e dal potere bianco. .

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