La casa della gioia

New York, inizio ‘900: la zitella squattrinata Lily Bart è innamorata dell’avvocato Lawrence che però non può garantirle quella stabilità economica bramata per entrare a far parte della buona società. Inseguendo il suo sogno, Lily colleziona debiti, storie d’amore fallimentari (il marito della sua migliore amica) e umiliazioni… Davies si accosta a un modello di cinema in costume elegante e didattico, per contraddirlo, riscriverlo e superarlo. Amaro e gelidamente appassionato.

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Terence Davies

TERENCE DAVIES, classe 1945, otto lungometraggi all’attivo (solo sei giunti sugli schermi italiani), ma sempre uno spazio minimo nel panorama d’essai. Un autore che solo ora con A Quiet Passion ha ottenuto una vera attenzione da parte della critica e un significativo riscontro di pubblico, ma al quale sullo schermo del Lux avevamo già tributato omaggio nel 1990.

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A Quiet Passion

Chi era Emily Dickinson? Che tipo di persona si nascondeva dietro la poetessa che ha trascorso la maggior parte della vita chiusa nella tenuta dei suoi genitori a Amherst, nel Massachusetts? Ambientato nella villa di famiglia, il film ritrae una donna non convenzionale, uno spirito indomito che ha compiuto la sua lotta solitaria e disperata per esprimersi attraverso la poesia e ottenere il proprio riconoscimento in un mondo dominato dagli uomini. Davies riesce a entrare in sintonia con il personaggio assolvendo pienamente al suo ruolo artistico lanciando il salvagente della poesia come lenimento al male. Un film non solo attento al valore della parola ma che restituisce un ritratto preciso dell’artista americana, fuori dal mito ma perfettamente ridefinita nella sua umanità.

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Il lungo giorno finisce

Tra il 1955 e il ’56, un anno nella vita dell’undicenne Bud (Leight McCormack), sospeso tra l’amore per la madre e i primi turbamenti omosessuali, il misticismo delle cerimonie religiose, la crudeltà della scuola, il fascino del cinema e della musica. Una narrazione non lineare ma che procede piuttosto per accumulo: immagini e soprattutto di suoni, dove esperienza vissuta e fantasia si mescolano in maniera indissolubile. Davies è abile nell’evitare qualsiasi manierismo, creando un’atmosfera vagamente onirica, a dir poco suggestiva e spiazzante, che restituisce un senso di solitudine e al contempo di magia e meraviglia.

 

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Voci lontane… Sempre presenti

Durante la seconda guerra mondiale, a Liverpool, tre giovani fratelli – Eileen, Maisie e Tony – crescono ossessionati dai contrasti con il padre che continuamente sottopone a violenza la moglie quando tenta di opporsi alla sua ira. Divenuti adulti, dopo che il padre, prima di morire, ha riconosciuto i suoi torti, i tre si sposano in tempi diversi: ma ognuno dei tre, il giorno delle nozze, avverte la mancanza del genitore, ricordandolo nei suoi rari momenti di umanità. Cinema personale, elegante e intelligente, che sa toccare corde emotive universali con semplicità ed efficacia davvero sorprendenti.

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The Terence Davies Trilogy

In tre episodi (in origine tre cortometraggi: ChildrenMadonna and ChildDeath and Transfiguartion) la vita di Robert Tucker, un omosessuale cattolico di Liverpool, nato in una famiglia dove l’affetto è tanto latente quanto è invece presente la violenza, e mandato a studiare in una rigida scuola. Dopo la morte del padre, che segnerà profondamente la sua esistenza, Robert, ormai adulto, torna a vivere con la madre e lavora in ufficio piuttosto desolante, vivendo come un recluso a causa della sua omosessualità. Rimasto solo dopo la scomparsa della madre, ormai anziano e malato, a Robert Tucker non resta che attendere la morte, ripensando agli avvenimenti della propria vita.

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Chiamami col tuo nome


Estate 1983, tra le province di Brescia e Bergamo, Elio Perlman, un diciassettene italoamericano di origine ebraica, vive con i genitori nella loro villa del XVII secolo. Un giorno li raggiunge Oliver, uno studente ventiquattrenne che sta lavorando al dottorato con il padre di Elio, docente universitario. Elio viene immediatamente attratto da questa presenza che si trasformerà in un rapporto che cambierà profondamente la vita del ragazzo. Una traiettoria esistenziale che la regia di Guadagnino restituisce in passaggi inattesi, tra dolcezza e passionalità, cercando di cogliere e mettere in scena il movimento intimo del desiderio.


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Un affare di famiglia

Giappone. Una famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese cerca di far quadrare i conti commettendo piccoli furtarelli nei negozi. Quando incontrano una ragazzina che pensano essere senza casa, sono felici di accoglierla, ma presto scoprono la verità su di lei e alcuni segreti vengono alla luce. È il conflitto tra legge morale e legge sociale ciò che anima questo spiazzante ritratto di famiglia allargata. Una commedia che volge al dramma, a cui accostarsi con circospezione…


Shoplifters
Giappone 2018 – 2h 1′
Cannes 71° – Palma d’oro

 CANNES – Ancora una Palma d’oro di fronte alla quale mi trovo sconcertato e isolato, di fronte al giudizio positivo della maggior parte della stampa specializzata, italiana e straniera. Il fatto è che Hirokazu Kore-Eda, regista vincitore a Cannes con Shoplifters, ha senz’altro alle spalle una coerente ventennale parabola artistica, con ben cinque presenze sulla Croisette di cui una (Father and Son) insignita del Gran Premio della giuria nel 2013. In questo senso (come già accaduto con Audiard per Deephan due anni fa) la Palma d’oro potrebbe essere vista quasi come un premio alla carriera.

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Tutti lo sanno

Laura arriva da Buenos Aires con la famiglia per una celebrazione nella sua città natale. Quella che doveva essere una breve visita di famiglia verrà turbata da eventi imprevisti che cambieranno le loro vite completamente… Scene “dietro” un matrimonio: un dramma di relazioni febbrili e dinamiche familiari incandescenti.


Todos lo saben/Everybody Knows
Spagna/Francia 2018 – 2h 10′

 CANNES – Se, come abbiamo visto in 3 Faces, le indubbie difficoltà economiche e logistiche non hanno impedito a Panahi di fare cinema e, pur coi limiti evidenti della vicenda, di mantenere un rapporto profondo e genuino con la sua terra, con la sua storia e la tradizione del miglior cinema iraniano, il contrario sembra essere accaduto ad Asghar Farhadi.

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Omicidio al Cairo

Egitto, 2011. Alcune settimane prima della Rivoluzione. Una donna testimone di un omicidio in un hotel di lusso e Noredin, un poliziotto mediocre e corrotto a cui viene assegnato il caso. Presto diventa chiaro che le persone importanti della città non vogliono che si faccia luce sull’omicidio. Si innesca così un gioco sanguinario nel tentativo di insabbiare le prove. Ma, quando Noredin sceglie di spezzare le regole per ottenere giustizia, entra in conflitto non solo con il sistema, ma anche con se stesso. Omicidio al Cairo trasforma la trama noir in coraggiosa invettiva politica:la sicurezza del Potere si poggia sull’insicurezza dei cittadini. E la primavera (araba) tarda ad arrivare.
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