Sentieri selvaggi

Texas, 1868. A tre anni dal termine della guerra di secessione Ethan Edwards torna a casa. Lo accolgono il fratello Aaron, la cognata Martha (che prova per lui un tormentato affetto), le loro due figlie Lucy e Debbie, il figlio minore Ben e il figlio adottivo Martin, un mezzo-sangue Cherokee. Già il giorno seguente Ethan si rimette però in sella, seguito da Martin, per accompagnare il capitano-reverendo Clayton e i suoi sulle tracce di una banda di Comanche, razziatori di bestiame. Troppo tardi si rendono conto che l’incursione era un pretesto per attirarli lontano dalle loro abitazioni. Sul far della notte gli indiani, guidati dal capo Scar, piombano sulla casa degli Edwards, trucidando la famiglia e rapendo le ragazze. Scoperto il massacro il gruppo riprende l’inseguimento dei Comanche ma, dopo essere sfuggiti a un’imboscata, la maggior parte degli uomini decide di rinunciare. Solo Ethan, Martin e Brad Jorgensen, il fidanzato di Lucy, non demordono e arrivano, di lì a poco, a ritrovare il corpo di Lucy uccisa e seviziata: Brad, impazzito dal dolore, si lancia in un attacco suicida. Ethan, che è spinto da un un cieco odio per i Comanche, continua con Martin la caccia… Dopo due anni di lunghi e infruttuosi spostamenti dal sud-ovest al nord degli Stati Uniti, i due fanno una tappa a casa dove Martin ritrova l’amata Laurie (Jorgensen), ma subito una nuova traccia (un lembo del vestito di Debbie) li induce a riprendere le ricerche. Diventa così una continua peregrinazione quella dei due searchers tra brulle praterie e colline innevate, cadenzata da agguati (ma chi vorrebbe derubare Ethan ci lascerà la pelle), momenti sereni (dopo una trattativa commerciale con gli indiani Martin si ritrova sposato a una squaw), un vano incontro con alcune donne bianche liberate dall’esercito e un drammatico colpo di scena: riusciti a raggiungere alfine l’accampamento di Scar, trovano lì Debby la quale però, ormai adolescente e sposata proprio al capo Comanche, non vuole lasciare la sua nuova realtà. L’istinto di Ethan è quello di ucciderla, ma viene ferito dagli indiani e lui e Martin devono ingaggiare un’aspra battaglia per riuscire a cavarsela. Quando tornano in Texas sono passati ormai cinque anni e arrivano proprio nel giorno in cui Laurie, che aveva perso le speranze nell’amore di Martin, sta per convolare a nozze con il postino Charlie McCorry. Il loro arrivo manda all’aria la cerimonia, Martin non sa trattenere il suo affetto per Laurie e tra lui e Charlie scoppia una inevitabile rissa. Ma il nuovo snodo narrativo arriva con la notizia, portata dal vecchio Mose Harper, che la tribù di Scar è accampata nelle vicinanze. Martin riesce introdursi nottetempo nel campo indiano, ammazza Scar e convince Debbie a fuggire prima che Clayton e i suoi sferrino l’attacco. Quando poi Ethan raggiunge Martin e Debbie la sua intenzione è di uccidere la ragazza, ma all’ultimo ci ripensa e la stringe tra le braccia. Al ritorno dagli Jorgensen, Martin ritrova ad aspettarlo la sua Laurie, ma per Ethan non esiste risocializzazione. La porta si chiude lasciandolo solo, ad incamminarsi nella prateria.

The Searchers
USA 1956 (119′)

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Sterben

Germania 2024 (180′)
BERLINALE 70° – Orso d’argento per la miglior sceneggiatura

BERLINO – Occorre non lasciarsi fuorviare dal titolo: Sterben (Dying in inglese, Morire in italiano) non è in realtà una meditazione sulla morte bensì sul vivere, sulle difficoltà e le tragedie che costellano l’esistenza di tutte le famiglie, in vari modi e a vari livelli, dalla nascita appunto alla morte. Nulla ci viene risparmiato: cancro, demenza senile, alcolismo, depressione, suicidio. E tuttavia quello presentato a Berlino dal regista tedesco Matthias Glasner è, per tutte le sue tre ore di durata, un film toccante, avvincente, complesso, denso di richiami e significati profondi. Non per niente premiato con l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura.

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My Favorite Cake

Keyke mahboobe man
Iran/Francia/Svezia/Germania 2024 (97′)

BERLINO – Ci risiamo. Tutto secondo una ormai consolidata tradizione. Non serve che per ben tre volte in tempi recenti la cinematografia iraniana si sia aggiudicato il Golden Bear neache sia l’unica arte a dar lustro a livello internazionale a questo sciagurato paese. Anche stavolta a Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, registi del delizioso My Favorite Cake, miglior film del concorso secondo noi, vengono dallo ottuso regime teocratico ritirati i passaporti e rischiano di finire sotto processo. E naturalmente mai l’opera verrà distribuita nelle sale cinematografiche del paese.

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La cocina

USA 2024 (139′)

BERLINO – Liberamente tratto dalla piece teatrale The Kitchen di Arnold Wesker, uno degli ‘angry young men’ che alla fine degli anni ‘50 rivoluzionarono la scena inglese, La cocina di Alonso Ruiz, è senz’altro uno dei film più interessanti passati a Berlino quest‘anno. Il regista, qui al suo esordio in lingua inglese (facile da pensarsi come un primo passo verso un futuro Hollywoodiano, sull’esempio dei suoi connazionali Inarritu, Quaron e Del toro), non è peraltro nuovo al circuito festivaliero. Ricordiamo, qualche anno fa in concorso proprio qui a Berlino, il film Museo con Gabriel Garcia Bernal, e soprattutto ancora prima Gueros, appassionante ritratto in bianco e nero della gioventù universitaria di Città del Messico durante le fatidiche Olimpiadi del 1968.

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The Animal Kingdom

In un futuro prossimo misteriose mutazioni hanno portato gli esseri umani a sviluppare elementi vicini ad alcune specie animali. Dopo due anni dal manifestarsi delle prime mutazioni, la società ha istituito centri socializzati dove prendersi cura delle “creature”. Ma quando, per un incidente, queste si disperdono nell’ambiente circostante, la situazione precipita e il giovane Émile e suo padre si trovano coinvolti in una straordinaria avventura.

Le regne animal
Francia 2023 (131′)
5 Cesar 2024

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TORINO – A volte i film che disegnano futuri scenari apocalittici deludono per la banalità degli schemi o per l’eccesso di retorica nell’esaltare i valori che ci potrebbero salvare. Le règne animal, fantasy-horror del regista francese Thomas Cailley, proposto a Cannes nella sezione Un certain regard, poi fuori concorso qui a Torino, si fa apprezzare perché dà alla riflessione un percorso non scontato e coinvolge lo spettatore sfruttando bene la dimensione sensoriale del cinema.

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Birth

Corea 2023 (155′)

TORINO – Una delle opere più interessanti presentate in concorso in questa 41° edizione del TFF è risultata Birth della giovane regista coreana Jiyoung Yoo. Un film che sviluppa due temi molto forti, quello della maternità indesiderata e quello dell’egotismo dell’artista, attraverso una storia condotta con uno stile asciutto e raffinato e una grande coerenza compositiva.

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Le Ravissement

Lydia, ostetrica appassionata e dedita al proprio lavoro, è in crisi per una rottura sentimentale. Dopo che la sua migliore amica Salomé partorisce, a Lydia capita di reincontrare Milos, una sua lontana avventura… Si ritroverà incastrata in una serie di fraintendimenti e menzogne che porteranno a sconvolgere la vita di chiunque abbia intorno a sé.

The Rapture
Francia 2023 (97′)

TORINO – Un ottimo esordio per la regista francese Iris Kaltenback con il suo Le Ravissement, già ben accolto a Cannes alla Settimana della Critica: il Torino Film Festival ha attibuito alla sua opera prima il premio speciale della Giuria e alla sua protagonista, Hafsia Herzi, il premio per la migliore interpretazione femminile.

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The Holdovers – Lezioni di vita

Paul Hunham, professore di storia in un college del New England (mal visto da studenti e colleghi) è incaricato alla vigilia delle vacanze di Natale della sorveglianza di quegli alunni che non possono rientrare in famiglia. Le circostanze lo portano però ben presto a doversi occupare di uno solo di loro, Angus, allievo brillante e problematico ‘dimenticato’ dalla madre. Ostinati e diversamente inadeguati al mondo, Paul e Angus faticano a socializzare, ma l’isolamento e il Natale accorceranno le distanze e li costringeranno a riconfigurare i loro rapporti e le loro stesse esistenze.

 

USA 2023 (133′)

TORINO – Lezioni di vita (per dare riscontro al sottotitolo italiano) dentro e fuori un liceo d’elite nel New England. È il periodo di Natale del 1970 e gli studenti della Barton Academy possono rientrare in famiglia, sempre che le famiglie siano disposte a tenerli con loro per le feste… Così il prof. Paul Hunham, misantropo e poco amato da studenti e colleghi, si ritrova “in punizione” a dover fare da supervisore ad alcuni alunni costretti a rimanere al college.

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Memory

Messico/USA 2023 (100’)
VENEZIA 8O° – Coppa Volpi miglior interpretazione maschile

 VENEZIA – Immancabile, arriva anche quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia un nuovo film di Michel Franco, che dai tempi del deplorevole Nuevo Orden (2020) – inopinato Gran Premio della Giuria – sembra ormai aver stretto un sodalizio in odor di fraternità con il festival lagunare, il quale, dal canto suo, ha contribuito, riservando metodicamente uno spazio in concorso alle sue operette, a divulgarne il lavoro ben oltre i confini delle americhe. Non nascondiamo una certa perplessità di fronte a questa intesa, dal momento che, di prova in prova, il cinema di Franco ha mostrato tutti i limiti di una immaginazione programmatica e priva di ispirazione, in cui ai personaggi si sostituiscono marionette isteriche, disperate o depravate, sulle quali il regista si getta col cinismo bieco di un Mangiafuoco crapulone.

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