My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot

Francia/Germania/Svizzera 2018 – 2h 54′

 BERLINO – Aveva fatto parlare di sé con Il grande silenzio (2005), memorabile documentario su una comunità di monaci votati, appunto, al silenzio, poi  aveva ricevuto il Premio speciale della Giuria per La moglie del poliziotto, estenuante dramma sull’incomprensione e sulla violenza coniugale didatticamente diviso in 57 capitoli, ostico alla visione completa e  coraggiosamente distribuito in Italia (Satine Film) con un esiguo riscontro di pubblico. Passati quattro anni (è questo a quanto pare il tempo minimo necessario a Philip Groning per completare una sua opera, di cui è sempre, oltre che regista, autore, fotografo e  e post-produttore), rieccolo a Berlino con questo My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot. E la musica non cambia.

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Don’t Worry

La storia vera del celebre fumettista John Callahan ritrovatosi in sedia a rotelle dopo un incidente automobilistico all’età di 21 anni. Ma ciò che poteva segnare la fine della sua vita, si rivela l’inizio di un nuovo meraviglioso percorso, in cui scopre di avere un dono nel disegnare vignette capaci di provocare risate o reazioni sdegnate. Van Sant cerca di coniugare le regole del film biografico con una costruzione narrativa più complessa, invitando lo spettatore e superare più di un pregiudizio.


Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot

USA 2018 – 1h 53′

 BERLINO – Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot, il film con cui Gus Van Sant torna ad un grande festival internazionale, dopo il tonfo di The Sea  of Trees (Cannes 2016), è un tributo agiografico del regista di Portland al disegnatore satirico John Callaghan, suo concittadino. Nel raccontarne la parabola esistenziale, dalla abiezione alcolica e relazionale che in seguito ad un grave incidente lo aveva ridotto a soli 21 anni su una sedia a rotelle su su fino alla sobrietà, alla scoperta della vocazione artistica e alla totale riabilitazione, il nostro riprende un’idea di Robin Williams, che gliela aveva proposta e di cui avrebbe voluto essere il protagonista (in effetti, a parte la straordinaria interpretazione di Joaquin Phoenix, non è difficile immaginarlo nel ruolo!).

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Dovlatov

  Russia/Polonia/Serbia 2017 – 2h 6′ BERLINO 68°: Orso d’argento per il miglior contributo artistico  BERLINO – Il giornalista e scrittore russo Sergei Dovlatov (1941-1990) non è molto conosciuto in occidente e (per molto tempo) neanche nella madre patria. Esiliatosi negli Stati Uniti, poté tornare in Russia solo nel 1989, nel nuovo clima propiziato dall’era Gorbaciov, in … Leggi tutto

Woton’s Wake

 USA 1962 – 20′

 TORINO – Siamo ne 1962 ed è il terzo cortometraggio, ma il primo di successo, girato quando De Palma (aveva 22 anni) frequentava la NYU con Martin Scorsese, dopo aver abbandonato gli studi di Fisica. Attraverso il Festival di New York aveva conosciuto in quegli anni il cinema europeo e in particolare la Nouvelle Vague, innamorandosi di Godard.

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Murder à la Mod

 USA 1968 – 1h 20′

 TORINO – Murder à la Mod è il secondo lungometraggio girato da De Palma (dopo The Wedding Party, che uscì però l’anno successivo), ma il primo proiettato in sala, dove riscosse scarso successo di pubblico e di critica. Nonostante l’eccessiva complessità dell’intreccio, che rende arduo per lo spettatore districarsi tra i vari fili della storia, la sua visione costituisce un puro piacere per chi ha amato il suo cinema, in quanto vi si possono trovare molte anticipazioni di temi e modalità di rappresentazione, che costituiranno la marca stilistica di questo autore.

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La donna dello scrittore

Georg in fuga dalla Germania nazista si rifugia a Marsiglia, dove riesce ad ottenere un visto per partire, rubando l’identità di uno scrittore scomparso. Il destino lo porta da incontrare Marie, la moglie dello scrittore, che ignora quale sorte sia toccata al marito e continua a cercarlo. Georg si innamora perdutamente della donna ma non può rivelargli la sua doppia identità… Come nei suoi film precedenti il tema dell’identità è alla base dell’opera di Christian Petzold . Stavolta il giovane regista tedesco porta all’estremo questa sua ricerca riattualizzando un romanzo sulla vicenda di un gruppo di resistenti nella Francia del 1942 occupata dai nazisti.

Transit
Francia 2018  (101′)

 BERLINO – Come nei suoi precedenti La scelta di Barbara e soprattutto Il segreto del suo volto il tema dell’identità (nessuno è ciò che sembra, passato e presente si mischiano e si sovrappongono all’interno di ciascuno di noi) è alla base dell’opera del giovane regista tedesco Christian Petzold . Transit, il film in concorso a Berlino, porta all’estremo questa sua ricerca. La traccia è un romanzo di Anne Seghers, scrittrice militante della Germania est, sulla vicenda di un gruppo di resistenti nella Francia del 1942 occupata dai nazisti.

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Star Wars – Gli ultimi Jedi

Star Wars: The Last Jedi
USA 2017 – 2h 32′

 – Occorre farsene una ragione. L’avventura galattica di Star Wars è ormai ben lontana dalla fiaba spaziale delle origini, ingenua e accattivante. Si è adombrata nello scontro infuocato tra il bene e il male (Il ritorno dello Jedi), si è fatta didascalica nei tre prequel, ha cercato di riprendere le fila di un discorso narrativo ormai concluso con il tocco vintage di Il risveglio della Forza. Ora Star Wars – Gli Ultimi Jedi osa ricomporre le dinamiche di storia e personaggi con una rivitalizzazione adrenalinica di scontri e duelli, con inaspettati tormentoni identitari, con un furibondo susseguirsi di folgoranti “finali”.

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Brawl in Cell Block 99

Bradley, un ex pugile, perde il lavoro come meccanico, e anche il suo tormentato matrimonio è in pericolo. In questo momento difficile, non vede davanti a sé altre scelte se non quella di lavorare come corriere per un trafficante di droga, sua vecchia conoscenza. La situazione migliora fino al giorno tremendo in cui si trova coinvolto in una sparatoria tra un gruppo di poliziotti e i suoi spietati alleati. Bradley è gravemente ferito e finisce in prigione, dove i suoi nemici lo costringono ad atti di violenza che trasformeranno quel posto in un brutale campo di battaglia.

Usa 2017 – 2h 12′

 VENEZIA – All’identità del genere, al cinema, è convenzionalmente attribuita una prassi dell’attesa e dell’aspettativa, un richiamo strutturale nel quale movere le carte del gioco e dunque le aspettative. Il genere sposta i propri confini in zone poco protette, coperte dal buio, spesso doloranti e inzuppate di liquidi corporei. Ed è per questo che ogni volta è come far ritorno in un luogo in cui non si è mai stati, insicuro come un’ossessione, attraente come il peccato, rischioso come una profonda passione.

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Gatta cenerentola

Italia 2017 – 1h 26′

 VENEZIA – Mentre in molti Paesi in giro per l’Europa (e il mondo) l’animazione è ormai un genere dai contorni indefiniti, un mezzo che il cinema ha per esplorare storie irraccontabili con attori in carne ed ossa, in Italia ancora questa tendenza stenta a riprendere il volo. Se si eccettua Enzo D’Alò, non sembravamo avere, insomma, dei Sylvain Chomet o dei Michael Dudok de Wit, e la lezione di Bruno Bozzetto sembrava essere stata assimilata soprattutto all’estero. Anche per questi motivi Gatta cenerentola è un film sorprendente e preziosissimo.

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La villa

In una pittoresca villa affacciata sul mare di Marsiglia tre fratelli si ritrovano attorno all’anziano padre: Angela fa l’attrice e si è trasferita a Parigi, Joseph è un aspirante scrittore innamorato di una ragazza che ha la metà dei suoi anni, e Armand, l’unico a vivere ancora in paese, gestisce il piccolo ristorante di famiglia. Il tempo passato insieme è l’occasione per fare un bilancio, tra ideali ed emozioni, aspirazioni e nostalgie. Finché un arrivo imprevisto, dal mare, porterà scompiglio nelle vite di tutti. Un racconto fuori dal coro del pessimismo e della chiusura sociale riaffermando il coraggio dell’accoglienza e la necessità di accordare la propria vita col prossimo.

Francia 2017 – 1h 47′

 VENEZIA – Si è sempre detto nella critica artistica e letteraria che il grande autore scriva (o filmi, o dipinga) sempre la stessa cosa, o ancora che ogni storia sia sempre in qualche modo autobiografica (in fondo si può parlare solo di ciò che si conosce). Questo vale senz’altro per il regista francese Robert Guediguian, il quale nel corso di una carriera quasi quarantennale (in Francia è in vendita un cofanetto con trentasei suoi film, la maggior parte mai usciti in Italia, con alcune eccezioni tra cui il recente Le nevi del Kilimanjaro) mai si è scostato da questa regola. .

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