Atlantis

Ucraina orientale, in un futuro molto prossimo. Un deserto inadatto alla presenza umana. Sergeij, un ex soldato che soffre di stress post- traumatico, non riesce ad adattarsi alla sua nuova realtà: una vita a pezzi, un Paese in rovina. Quando la fonderia in cui lavora chiude definitivamente, Sergeij trova un modo inaspettato di cavarsela, unendosi alla missione volontaria del Tulipano Nero, specializzata nel recuperare cadaveri di guerra. Lavorando accanto a Katya, capisce che un futuro migliore è possibile. Imparerà a vivere senza la guerra e ad accettarsi per quello che è?


Ucraina 2019 (106′)
VE 76° – Sezione ORIZZONTI: miglior film

 VENEZIA – Decidere di parlare di guerra, in questo periodo storico, richiede una consapevolezza fondamentale, al di là delle apparenze: nessuno realmente è interessato a vedere un conflitto armato; vuoi perché non sembra esso appartenere più a quest’epoca, vuoi perché, in ogni caso, relegato lontano dai confini dell’occidente civilizzato e democratico. Nella lapalissiana contraddizione di questa considerazione, è evidente che, a voler aprire bene gli occhi, voltato l’angolo, il conflitto armato è a due passi.

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Ema

Ema, giovane ballerina, decide di separarsi da Gastón dopo aver rinunciato a Polo, il figlio che avevano adottato ma che non sono stati in grado di crescere. Per le strade della città portuale di Valparaíso, la ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa. Ma Ema ha anche un piano segreto per riprendersi tutto ciò che ha perduto.


Cile 2019 (102′)
VE 76° – Arca CinemaGiovani: miglior film

Laugh and the world laughs with you
Cry and you cry alone
It’s something they’ll try to tell you
When they’re dishing out the pills
Years go by like hurricanes
Years go down in flames
Wax Tailor – Down in flames

 VENEZIA – A partire dal provocatorio interrogativo senza risposta esposto da Freud a proposito dell’analizzanda Marie Bonaparte riguardo l’inafferrabile dimensione desiderante della donna (Che cosa vuole una donna?), il femminile incarna un mistero verso il quale l’indagine non si concretizzerà mai in un risultato conclusivo o, quanto meno, sufficiente a dirimere la pretesa di volere continuare ad esplorare. .

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Favolacce

Un quartiere della provincia di Roma. Le storie di famiglie ormai disilluse e frustrate si intrecciano in una calda estate; i bambini osservano il comportamento dei genitori e si caricano di una tensione pronta a esplodere da un momento all’altro. La cartolina grottesca di una parte d’Italia sfatta e tenebrosa, in cui la regia, con trovate puntuali, si incolla agli sguardi dei personaggi in una sorta di sfilata di volti e sensazioni di rara forza filmica.

Italia 2020 (98′)

BERLINO 70°: Orso d’argento – miglior sveneggiattura

 BERLINO – Dopo l’exploit del 2018 con La terra dell’abbastanza, film rivelazione della sezione Panorama e poi premiato in Italia con un Nastro d’argento per la migliore regia esordiente, i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, gemelli romani classe 1988, tornano a Berlino, questa volta in concorso, con Favolacce (Bad tales), dimostrando un cambio di passo e una maturazione straordinarie.

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Never Rarely Sometimes Always

USA 2020 (101′)

BERLINO 70°: Gran Premio della Giuria

 BERLINO – Era stato dato da molti come uno dei più seri candidati all’Orso d’oro, questo Never Rarely Sometimes Always; e anche se alla fine ha dovuto accontentarsi del Gran premio della giuria, rimane forse la più bella sorpresa di questa 70esima Berlinale. Un film se vogliamo molto ‘indie’ (non per niente proveniente dalla inesauribile fucina del Sundance), e però di una originalità, di una spontaneità, di un realismo, di una accuratezza formale e di recitazione straordinari.

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There Is No Evil

Sheytan vojud nadara
Germania/Repubblica ceca/Iran 2020 (150′)

BERLINO 70° – Orso d’oro

 BERLINO – There is No Evil è il titolo internazionale di Sheytan vojud nadarad, film vincitore dell’orso d’oro a Berlino 2020. L’autore, Mohammad Rasoulof, si era già messo in evidenza un paio di anni fa a Cannes con Lerd (Un Homme Intègre), premiato come miglior film della sezione Un certain regard; ma da allora caduto in disgrazia nel suo paese, privato del passaporto e accusato di propaganda e attentato alla sicurezza dello stato.

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Là dove scende il fiume

1880, pionieri in viaggio verso l’Oregon (150 miglia a Est di Portland). Carri e praterie, ma anche trasbordi sul Columbia. Dovranno fare i conti con un attacco degli Shoshoni e con l’avidità di avventurieri e cercatori d’oro che cercano di impadronirsi dei viveri di cui la carovana ha bisogno. La guida Glyn McLyntock, ex bandito del Missouri in cerca di redenzione, a cui si affianca Cole, anch’egli con un oscuro passato (Kansas), del quale si innamora Laura, la figlia del capo carovana. L’esito dell’avventura sarà in bilico fino alla fine tra valichi innevati, fiumi da attraversare, imboscate e sparatorie. L’ostacolo più arduo sarà legato alla slealtà e al tradimento che minerà l’amicizia e l’amore.

Bend of the River
USA 1952 (91′)

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Il grande sentiero

Oklahoma, 1878. Umiliati dalle promesse non mantenute del governo americano gli ultimi Cheyenne (286!) affrontano uno stremante viaggio (3000 miglia) verso lo Yellowstone (Wyoming), la terra dei padri. Imbracceranno al bisogno le armi, guaderanno fiumi, valicheranno inaspettati confini (i binari della ferrovia) e affronteranno la fame, la neve e il gelo, fino a cercare provvisorio rifugio a Fort Robinson. In fuga dopo un ulteriore cruento massacro, l’incontro sulle colline del Dakota con il segretario all’interno apre ai superstiti l’opportunità di procedere nel loro cammino insediandosi nella riserva di Powder River: il sentiero dell’autunno di un popolo.

Cheyenne Autumn
USA 1964 (154′)

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Time

Seh-hee e Ji-woo sono una giovane coppia all’apparenza affiatata e in perfetta armonia. Lei, però, è quotidianamente pervasa dalla gelosia, e mal sopporta le occhiate del suo compagno verso altre donne. Spaventata dallo scorrere del tempo e dall’idea che lui si possa stancare del suo volto, la ragazza si convince che l’unica soluzione sia affidare il suo volto alla di chirurgia plastica…Kim Ki-duk sfiora il boom dell’estetica del bisturi e la doppia personalità. Un film sofisticato, inquietante e calibratissimo: ancora una volta la scenografia e le scelte formali assumono per il regista coreano un’importanza pari a quella dei personaggi.

Shi gan
Corea del Sud/Giappone 2006 (97′)

 – Cineasta del silenzio, Kim Ki-duk realizza con Time la sua opera più discussa. Discussa, si badi, solo internamente, nel profluvio di parole che i protagonisti si rivolgono l’un l’altro, dacché molti critici festivalieri non hanno certo dovuto confrontarsi a lungo prima di decretarla opera irrisolta di un cineasta in declino. Alla distanza, possiamo dire che si siano sbagliati.

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Poetry

Una donna vive sola con l’unico figlio, un giovane timido e asociale che trascorre il tempo chiuso in casa. Quando nella loro città viene commesso un omicidio, la polizia arresta il figlio della donna solamente perché è privo di alibi. L’avvocato della difesa non è in grado di provarne l’innocenza così toccherà alla madre indagare per contro proprio per scagionare l’amato figlio, scoprendo, tra le sue abituali frequentazioni, un mondo nascosto di intrighi e violenze… Un film che scardina convenzioni e regole per reinventare la realtà nello sguardo e nelle azioni di una donna che soffre si dispera, immersa cuore profondo (e selvaggio) della società coreana. Un ritratto di madre straziante, commosso e ambiguo.

Shi
Corea del Sud 2010 (139′)
CANNES: premio per la miglior sceneggiatura

 – A dispetto dei meritati elogi tributati a Parasite, il miglior film coreano visto in sala nel 2019 è stato piuttosto Burning – L’amore brucia, di Lee Chang-dong, che rilegge un tiepido racconto breve del giapponese Haruki Murakami allentandone gli involontari schematismi e moltiplicandone le ambiguità e le tracce senza seguito – tra le molte, la più suggestiva è certo la presunta sparizione del micio della protagonista, che si lega, nella memoria di ogni appassionato, alla fuga del felino di Philip Marlow ne Il lungo addio (Robert Altman, 1973)

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