Peterloo

Nel 1819 un pacifico raduno pro-democrazia riunitosi presso St Peter’s Fields a Manchester si trasforma in uno degli episodi più sanguinosi e tristemente noti della storia britannica. Una folla di oltre 60.000 persone radunate per protestare contro i crescenti livelli di povertà viene attaccata dalle forze governative: molti manifestanti uccisi, centinaia i feriti. Seguiranno proteste in tutta la nazione, ma anche a nuove repressioni… I fatti di Peterloo rappresentano un momento fondamentale nella definizione della democrazia britannica e Leigh ne fa un rappresentazione rigorosa e coerente, forse troppo didattica ma ugualmente epica ed emozionante.

Gran Bretagna 2018 – 2h 34′

 L’ultimo film di Mike Leigh, Peterloo passato all’ultima Mostra di Venezia, dove il regista inglese aveva conquistato il Leone d’oro con Vera Drake nel 2004, tesse per l’ennesima volta la necessità di un autore di rileggere le storie e la Storia attraverso personaggi che si facciano carico di una rappresentazione identitaria, laddove l’urgenza politica si nutre del filtro intellettuale e pittoricamente raffinato (si pensi da Turner in giù nella sua filmografia), mai comunque ruvido e schiettamente proletario con il quale si confronta invece Ken Loach. E forse mai come in Peterloo questa vocazione appare più evidente, saldata da una rappresentazione rigorosa e coerente eppure ostica,
didattica eppure emozionale, inciampando forse qua e là in un racconto e una verbosità a tratti snervante, ma fulminando lo sguardo con due sequenze magnifiche: la prima, in apertura, durante la battaglia di Waterloo, con un trombettiere che diventerà elemento fondante al ritorno a casa; e soprattutto la seconda con il massacro di gente inerme, durante una manifestazione pacifica, compiuto dalla cavalleria britannica nella piazza di St. Peter Field (da qui, come in un lucchetto enigmistico, il titolo Peterloo) a Manchester, nel 1819, con la quale il film si chiude, in una convergenza quasi circolare di un racconto, che all’azione sanguinaria della guerra e della protesta, pone come collante l’articolato di strategie e scenari, dove la “parola” diventa l’arma politica per la conquista della democrazia.
Siamo in un periodo di tellurici cambiamenti storici (a ridosso della Rivoluzione Francese) e al di là della Manica le richieste del proletariato britannico s’imbevono di quest’aria di grande turbamento e trasformazione. Leigh è indubbiamente magistrale nella ricostruzione sociale di quell’era turbolenta, tra gli interni modesti delle case e lo sfarzo della nobiltà, rappresentata sempre in modo triviale e grottesca; tra i volti provati dalla fame e dalla miseria del popolo, ravvivati appena dalla speranza di un futuro migliore, e la dialettica politica di chi dovrebbe aiutarli a reclamare le proprie ragioni, ma che inesorabilmente si dimostra spesso distante. È il caso di Henry Hunt, un politico che appoggia la rivendicazione delle classi sociali più deboli, ma che riuscirà davvero a comprenderne le ragioni, vivendo fianco a fianco, “nascosto” nelle loro case, durante la settimana di inatteso spostamento della manifestazione.

Raccontato attraverso le testimonianze degli inviati dei giornali dell’epoca, il raduno popolare piomba, nonostante l’ottimismo della vigilia, in una delle più spietate carneficine di sempre, delirio di corpi e sangue, che l’occhio di Leigh trasforma in un’agghiacciante composizione icastica della brutalità del Potere. Film indispensabile e potente.

Adriano De Grandis – Il Gazzettino

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