La ragazza ha poco più di vent’anni, lavora le pelli e ha un’ossessione che le pulsa in testa. Un giorno d’inverno l’idea le arriva improvvisa su una spiaggia, e da quel momento la sua vita diventa la vita di un’altra. Un drone e un cellulare saranno la sua scelta forse malsana ma un modo “vero” per reinterpretare la sua esistenza. Luce è una storia di pelle, di voci e fatica. Tutto è reale, ma non tutto è vero. Luce è un volto, e tutto quello che c’è dietro, attorno e dentro.
Italia 2024 (95′)
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I due giovani registi ripercorrono i loro temi più cari: la famiglia, il lavoro, le relazioni e il potere. In un paesino montano dell’Irpinia, vicino Avellino, una giovane donna (Marianna Fontana) vive una vita sospesa tra la monotonia e un’aspirazione silenziosa. Le sue giornate scorrono lente, scandite dal lavoro ripetitivo in una fabbrica che lavora le pelli, dove le piccole pause, le sigarette veloci e il rumore delle macchine sono gli unici compagni di una vita solitaria. Un’esistenza intima, privata, come intreccio delicato di gesti quotidiani, condivisi solo con un gatto e pochi parenti, in un isolamento che sembra quasi voluto. Un giorno, durante una festa di comunione, la protagonista alza gli occhi al cielo e vede un drone che sorvola il villaggio. In quell’attimo di sospensione, una scintilla si accende nella sua mente: l’idea di stabilire un contatto con una presenza lontana, inaccessibile, attraverso il filo sottile di una chiamata telefonica. È l’inizio di un legame che si fa sempre più profondo, un dialogo fatto di parole e silenzi in cui ciascuno proietta sull’altro i propri desideri e le proprie paure.
Le lunghe riprese in sequenza e i continui primi piani con camera a mano, sono ciò che di più intimo c’è della condizione umana rappresentata dai due registi. E sulla lotta contro le catene invisibili che la società impone. La fabbrica diventa una prigione di rituali meccanici, dove anche la solidarietà tra colleghi è intrisa di una polvere che si fatica a scrollare di dosso. Nei confronti con le donne più anziane, la protagonista trova solo un’eco di limitazione e conformismo, catturata con una precisione antropologica che sfiora la poesia. In questo continuo scambio ipnotico, lo spettatore viene invitato a lasciarsi trasportare dal flusso delle parole, a cogliere le sfumature tra ciò che viene detto e ciò che rimane nascosto. E se Marianna Fontana con il suo sguardo enigmatico e la sua voce piena di contraddizioni dà (ancora una volta) vita a un personaggio complesso e affascinante, dall’altra parte la voce profonda di Tommaso Ragno aggiunge mistero e intensità. Un’opera che la Luzi e Bellino raccontano in modo sofisticato e, spesso, coraggioso. Cos’è – d’altronde – la relazione tra un individuo e il mondo che lo circonda? Una domanda che i due autori spesso pongono in essere al centro dei loro lavori. Anche se forse con Luce non si raggiunge la compiutezza definitiva, resta altresì un viaggio affascinante che porta ossigeno ad un nuovo modo di vedere il cinema.
Dario Cangemi – hotcorn.com
Mostrare, non mostrare. Realismo, fantasmatico. Uno sguardo appiccicato al corpo, il mondo attorno che si estranea, altrimenti una prigione: il luogo di lavoro per la protagonista, il carcere per il padre. Dai registi di “Il cratere”, scoperta della Settimana della Critica nel 2017, ecco “Luce” un viaggio, a suo modo, straziante, su una lavoratrice in fabbrica, che instaura un rapporto a distanza col padre rinchiuso attraverso un cellulare: un corpo lei, una voce lui. Silvia Luzi e Luca Bellino coerentemente portano avanti un’idea di cinema personale, un po’ ostico ma capace di raccontare vite con la forza delle immagini. Chiede uno sforzo, ma ricompensa. Il corpo di Marianna Fontana è il film, la voce di Tommaso Ragno “fantasma” fa il resto.
Adriano De Grandis – il Gazzettino
Al centro della narrazione c’è una ragazza che, mentre si trova a una cerimonia di famiglia, nota un drone che sta filmando la festa e che le fa venire un’idea: potrebbe utilizzarlo per contattare il padre, in carcere da diverso tempo, e ritrovare così una relazione perduta. Opera seconda di Silvia Luzi e Luca Bellino, dopo Il cratere del 2017, Luce è un prodotto in cui la coppia di autori torna ai temi della famiglia e del mondo del lavoro, attraverso una messinscena profondamente realistica in cui la cinepresa è sempre attaccata al volto del personaggio principale. Il confine tra vero e falso è particolarmente sottile all’interno di questa narrazione dove l’universo della prigione viene associato a quello della fabbrica in cui lavora la protagonista, unite da un contatto telefonico che è quello che si va a instaurare tra la ragazza e la figura paterna. Una voce, forse inventata o forse reale, che diventa l’unica presenza possibile all’interno di un contesto malsano in cui si muove la ragazza, bisognosa di pensare a realtà parallele per riuscire a sostenere un’esistenza di grande difficoltà. Come hanno sottolineato i registi, raccontando il loro metodo di lavorazione, la sceneggiatura è stata riscritta giorno per giorno, mentre i luoghi sono veri, così come le persone reali con l’obiettivo di raggiungere: «una recitazione che non è più finzione ma messa in scena di se stessi» (..) Il soggetto alla base di Luce è davvero di grandissima forza, così come alcuni dialoghi tra i due personaggi principali che rendono al meglio una (doppia) solitudine in cerca di un cambiamento impossibile, utopico come un’isola deserta su cui scappare.
Andrea Chimento – ilsole24ore.com