From Ground Zero

Reema Mahmoud, Muhammad Al Sharif, Ahmed Hassouna, Islam Al Zeriei, Mustafa Kolab, Nidal Damo, Khamis Masharawi, Bashar Al Balbisi, Tamer Nijim, Ahmed Al Danaf, Alaa Islam Ayoub, Karim Satoum, Alaa Damo, Aws Al Banna, Rabab Khamis, Mustafa Al-Nabih, Mustafa Al-Nabih, Hana Eleiwa, Wissam Moussa, Basel El Maqousi, Nida’a Abu Hasna, Mahdi Kreirah

22 cortometraggi realizzati secondo un progetto che mira a offrire a giovani filmaker l’opportunità di esprimersi attraverso il proprio lavoro. Ogni corto, dalla durata compresa tra i 3 e i 6 minuti, presenta un punto di vista originale sulla realtà di Gaza e sulle esperienze di vita della sua popolazione, tra la tragedia dei bombardamenti e lo spirito di sopravvivenza di un popolo. Mischiando generi che vanno dalla fiction al documentario, dall’animazione al cinema sperimentale, il film presenta una varietà di storie che riflettono il dolore, la gioia e la speranza di Gaza e testimoniano della vitalità della sua scena artistica, nonostante le terribili condizioni in cui si trova a operare.


film edito solo in Versione Originale Sottotitolata
Palestina/Francia/Qatar/Giordania/Emirati Arabi Uniti/Italia 2024 (112′)
Lux Padova Logo

  Il progetto From Ground Zero, lanciato negli ultimi mesi del 2023 da Rashid Masharawi, regista palestinese originario di Gaza, nasce dalla necessità di tracciare la memoria di quanto vissuto affinché la storia dell’occupazione della Palestina non possa essere riscritta senza tenere conto di quella dei palestinesi. L’idea di comporre un film collettivo di ventidue cortometraggi, ideati, scritti e diretti da altrettanti giovani autori e autrici palestinesi, consente una molteplicità di punti di vista in una pluralità di linguaggi che mostrano devastazione e macerie ma anche la resistenza attraverso l’atto creativo, la poesia e la gioia dello stare insieme.

pressbook

 In pochissimi altri casi si giudicherebbe favorevolmente un film diseguale, per molti versi carente, senza uno stile riconoscibile, forse anche troppo lungo, realizzato con mezzi di fortuna. Ma From Ground Zero, presentato nella nuova sezione Zibaldone del TFF, è importante perché offre una prospettiva privilegiata su un orrore quotidiano che in occidente osserviamo mediato dagli organi di informazione. Una visione ancora più importante se si pensa che a all’ultimo Cannes il film, inizialmente previsto, fu poi cancellato dal programma per evitare polemiche ed eventuali ritorsioni.  From Ground Zero è un lavoro collettivo, nato dal coordinamento dell’esperto regista palestinese Rashid Masharawi e composto da 22 episodi realizzati da altrettante voci, filmmakers che raccontano con una necessità esistenziale, più che artistica, cosa significhi vivere a Gaza dopo il 7 ottobre dello scorso anno. Episodi brevi, intorno ai 5 minuti ognuno, di diversa sensibilità e profondità, quasi tutti immediati nello stile e nella rappresentazione, talvolta ai limiti dell’amatorialità. Ma mai come in questo caso qualunque discorso critico appare vuoto e totalmente inutile, perché ciò che conta è la testimonianza, la forza dell’idea, il senso vertiginoso del dolore di un gruppo coeso di cineasti che, vista la tragica costanza dei bombardamenti e la quotidianità survivalista alla quale sono sottoposti, ci possiamo solo augurare siano ancora tutti vivi. Questo paradosso tra la voglia di comunicare un dramma e, poiché la pace al momento pare l’ipotesi più lontana, il tentativo di farne ancora parte per poterlo raccontare, si sostanzia in alcune storie indicative che mostrano la resistenza, la reazione, la difficile elaborazione del lutto in un incubo a cielo aperto; inevitabile visto lo scenario di devastazione, macerie e palazzi distrutti dovuto alle rappresaglie israeliane, per un’ironia amara che pare essere diventata la cifra narrativa di un buon numero degli episodi dello stesso film. E, oltre le macerie, la speranza data dai bambini, onnipresenti, vittime predestinate della guerra ma anche simbolo di una possibile rinascita a cui solo pochi degli episodi paiono aver davvero rinunciato. Anche la presenza della spiaggia di Gaza, l’unico limite imposto dalla natura e non dalla legge spietata degli uomini, pur apparendo come un confine apparentemente invalicabile, fornisce invece uno spaccato illusorio di attaccamento eroico alla bellezza, concetto fondamentale dell’intera operazione.

Alcuni degli episodi esprimono un significato fulminante, soprattutto per la loro brevità. La resilienza di Everything is Fine (regia di Nidal Damo), in cui un comico, dopo aver scoperto che il teatro nel quale avrebbe dovuto esibirsi è andato distrutto, compie ugualmente la sua performance in mezzo alla strada. Oppure il pragmatismo di Recycling (diretto da Rabab Khamees), nel quale è mostrata l’abilità di una donna nell’utilizzare la sua unica tanica di acqua disponibile per mille usi domestici. Oppure anche il rispetto di se stessi in The Teacher (di Tamer Najm), che racconta dei tentativi falliti di un insegnante di ottenere la razione quotidiana di cibo, acqua e carica del telefono e del suo cortese rifiuto di un aiuto da parte di un suo ex allievo. O la commozione di School Day (di Ahmed Al-Danf), in cui il giorno di scuola del titolo diventa per un bambino la visita alla tomba del proprio insegnante, perito nei combattimenti. Storie che prendono le mosse dalla realtà per rappresentarla nella sua crudezza o, al contrario, per sublimarne la portata drammatica in poesia, anche se la tragedia reclama sempre la sua brutale incidenza, come nel caso di Taxi Waneesa, dove la regista E’temad Weshah interrompe il finale per annunciare lo scoramento per la morte del fratello come causa del finale tronco del suo lavoro. Fortunatamente, si assiste anche a un momento in controtendenza, quello di No di Hana Eleiwa, la quale si costringe a negare le brutture della guerra mostrando i canti di un gruppo di musicisti. Ma è solo un breve istante. È proprio nella forza delle sue immagini, nello sforzo compiuto e nel coraggio mostrato per esprimerle, che risiede tutto il significato di questo lavoro imperfetto, anomalo e discontinuo, ma dall’enorme valore politico e umano.

Giampiero Frasca – cineforum.it

   Considerate se questo è un uomo che a terra separa la farina dalla polvere (da sparo), che si ammassa in tendopoli pollaio, che elemosina acqua, che dorme in un sacco per cadaveri, che cerca il padre tra le macerie, una volta la sua casa (“Forse è ancora vivo”, “Ma è crollata due giorni fa!”).
Considerate se questo è un uomo che non può essere seppellito perché vi rimane, sotto quelle macerie. Considerate se questo è un regista, che prima girava per festival, ora rincorre i paracadutisti con gli aiuti alimentari, zigzagando tra i detriti, per sfamare i figli. O se questo è un corto, che non può essere finito perché il protagonista viene, nel frattempo, ucciso.
Considerate, poi, se questo è un insegnante, senza cibo per gli allievi, senz’acqua, senza elettricità, senza più missione sociale. E se questo è un alunno quando va a studiare sulla tomba del suo maestro. Considerate, ancora, se questa è una bambina, che si lava in un secchio di vernice. E se questa è un’adolescente quando dice: “Ogni volta che il sole tramonta, perdo qualcuno che amo”.
Considerate ventidue registi, il più giovane neanche trent’anni, che trovano miracolosamente il coraggio e le risorse per assemblare con mezzi di fortuna una testimonianza collettiva, dal valore storico, del massacro in corso nella striscia di Gaza dopo il fatidico 7 ottobre 2023, sotto la guida dal decano del cinema palestinese Rashid Masharawi, cresciuto nel campo profughi Shati.

Crudo, desolato, straziante, avvilente, intossicante, eroico, il doc in due atti From Ground Zero testimonia e indigna, documenta e sgomenta la vita sotto le bombe di milioni di civili rimasti (intrappolati) tra le macerie fumanti di Gaza. Tra cinéma vérité, reportage, fiction realista e animazione si compone un affresco composito e desolante di una quotidianità fatta di vite improvvisamente spezzate e devastate. Ma non c’è J’Accuse verso il nemico, senso di rivalsa o spirito di vendetta nella cinepresa dei giovani cineasti. Su tutti i corti (o cortissimi) aleggia un’aria di dolorosa sospensione, di lutto fulminante, di straziante attesa, di urgenza testamentaria, perfino di speranza per una guerra che tarda a spegnersi. Non un film anti-ebraico, dunque, ma platealmente anti-bellico, ostinatamente umanista nel mostrare senza edulcorare né retoricizzare le devastazioni urbanistiche e psicologiche che causa il conflitto. Le vittime, come sempre, sono gli ultimi, i diseredati, i sommersi senza essere salvati: donne, bambini, adolescenti, promessi sposi, professionisti senza più lavoro, insegnanti senza cattedra, cineasti senza camera. Un progetto tanto spericolato quanto prodigioso che, dopo la premiere al Toronto Film Festival, l’anteprima italiana a Taormina prima, a Torino poi, sta girando un pugno di sale in modo indipendente, sognando l’Oscar. Complice anche l’endorsment accorato di Michael Moore (che si ritaglia il ruolo di produttore esecutivo) il film è entrato nella quindicina dei migliori film internazionali per rappresentare la Palestina. Il sequel From Ground Zero + è già in cantiere con 4 cortometraggi narrativamente più impegnativi (di cui il primo è già in sala montaggio). Nel frattempo in tanta desolazione, c’è anche chi dice no. “No a tutto quello che ci distrugge” canta una donna guardando in macchina. Dal Punto Zero dell’umanità, alla sua rinascita.

Davide Maria Zazzini – cinematografo.it

 

Lascia un commento