Napoli – New York

Gabriele Salvatores

Carmine e Celestina cercano di sopravvivere tra le macerie della Napoli post bellica. Una notte i due bambini decidono di imbarcarsi insieme a tanti altri italiani con direzione New York, dove ad attenderli c’è la sorella di Celestina, ormai da anni in America. Una storia fiabesca ispirata da un soggetto mai realizzato di Federico Fellini e Tullio Pinelli.


Italia 2024 (124′)

   Vide ‘o mare quant’è bello / spira tantu sentimento. Ma non è Sorrento, e nemmeno si torna, per questo oceano mare: si va, direzione Nuova York, incontro al destino e alla promessa, chissà quanto ben riposta, di un futuro migliore. È il sentimental-avventuroso Napoli-New York, scritto e diretto da Gabriele Salvatores a partire dal soggetto firmato da Federico Fellini e Tullio Pinelli.  Sicché l’immediato Dopoguerra a Napoli, tra macerie e miserie, è l’epopea ordinaria di due orfanelli, Celestina (Dea Lanzaro) e Carmine (Antonio Guerra), lasciati a sé stessi: s’imbarcheranno clandestinamente su un piroscafo per la Grande Mela, via Ellis Island, dove faranno la conoscenza, e forse la mutua salvezza, del commissario di bordo Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino). L’obiettivo è trovare la sorella di Celestina, Agnese (Anna Lucia Pierro), ma la realtà americana, alla voce razzismo, non sarà tenera: Napoli-New York è davvero sola andata? Salvatores firma il suo film più riuscito degli ultimi vent’anni, da Io non ho paura (2003), e perfino il più coraggioso se non screanzato: nell’alveo del genere family, si predilige la relazione di coppia all’avere o diventare figli; nella temperie attuale, si parla di quando gli emigrati erano gli italiani. A rendere l’effetto “d’epoca” concorrono pregevolmente la fotografia, luci di Diego Indraccolo, e effetti visivi, Victor Perez, a veicolare la favola di formazione, con beneficio di commozione, gli attori, dall’irresistibile paesana Lanzaro all’assertivo e financo dickensiano Guerra, e il primus inter pares Favino.

Nel cast, tutti bravi, Omar Benson Miller, Anna Ammirati e Antonio Catania, Picchio – come è soprannominato Pierfrancesco – prosegue la sua sperimentazione linguistica, e vieppiù la autodeterminazione (inter)nazionale, dando a Garofalo non il cinematografico siciliano degli italians visti e uditi dagli americani, ma una calata idiosincratica ed esaustiva dell’emigrato nostrano. Più importante, mettendosi al “paterno” servizio degli orfanelli, si ritaglia un ruolo compreso, maturo ed empatico, cercando non solo il primo ma il piano d’ascolto. Napoli-New York, dunque, conferma che un cinema medio in Italia è possibile, onorevolmente e addirittura pregevolmente, e che se tra l’autore e il pubblico c’è sempre di mezzo il mare, stavolta è navigabile e, perfino, potabile.

Federico Pontiggia – cinematografo.it

Due ragazzini, Carmine e Celestina, fuggono fortunosamente dalla Napoli devastata del primissimo dopoguerra per imbarcarsi clandestinamente per New York: il piano è raggiungere la sorella di lei, trasferitasi negli Usa anni prima. Nella traversata li accompagnano tanti altri migranti italiani. Un commissario di bordo, americano nato da genitori italiani, si dimostrerà migliore di quanto sembri all’inizio. Ha ragione Pierfrancesco Favino, convincente protagonista adulto del film, nel dire che “questa storia ha qualcosa di magico. È come una lampada delle fiabe riscoperta in un baule, che Gabriele ha saputo strofinare. Ha un respiro che forse il cinema di oggi fatica ad avere“. Perchè Napoli-New York mescola fiaba e descrizione di realtà drammatiche con una sapienza che coinvolge, attrae, a tratti commuove. Salvatores torna sul tema del viaggio, della fuga, che ha scandito le sue prove registiche più applaudite, con la sapienza che gli è riconosciuta. Ma abbandona gli spunti concettuali degli ultimi anni per costruire un racconto più popolare, pur nella sua eleganza, raccontando una storia per tutti in grado di stregare il pubblico e farlo riflettere su argomenti importanti del nostro tempo: le migrazioni, il futuro di chi parte svantaggiato, l’insopprimibilità dei riferimenti morali. Favino è al suo meglio, nel ruolo dello scaltro italiano che “gliel ha fatta” a prendersi un pezzetto di sogno americano, ma non sa dimenticare le origini. E I due bambini sono addirittura strepitosi nel calarsi in personaggi che sembrano provenire direttamente dal migliore cinema degli anni ’60. Il risultato è che si esce dalla sala con la sensazione di benessere tipica di quando un film ci ha conquistati.

Flavio Natalia – ciakmagazine.it

  «Già solo il fatto di essere venuto in possesso di una storia scritta da Federico Fellini e Tullio Pinelli, di cui si sapeva poco o niente, mi è sembrato meraviglioso. Quando poi ho letto questo “trattamento-sceneggiatura” la meraviglia è diventata desiderio e spinta creativa. Il viaggio, l’altrove, la solidarietà sono temi che ho spesso trattato nei miei film. Ho anche spesso lavorato con i bambini ed è una cosa che mi ha sempre dato gioia. I bambini non “recitano”, vivono davvero quello che stanno facendo in un “gioco” molto serio. Non è un caso che in inglese o francese “recitare” si dica “to play” o “jouer”: giocare! Mi sono trovato davanti a una storia avventurosa, divertente, commovente che ci racconta, tra l’altro, come una volta eravamo noi i “migranti”, gli “stranieri”, i “diversi”»

Gabriele Salvatores

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