La villa

Robert Guédiguian

In una pittoresca villa affacciata sul mare di Marsiglia tre fratelli si ritrovano attorno all’anziano padre: Angela fa l’attrice e si è trasferita a Parigi, Joseph è un aspirante scrittore innamorato di una ragazza che ha la metà dei suoi anni, e Armand, l’unico a vivere ancora in paese, gestisce il piccolo ristorante di famiglia. Il tempo passato insieme è l’occasione per fare un bilancio, tra ideali ed emozioni, aspirazioni e nostalgie. Finché un arrivo imprevisto, dal mare, porterà scompiglio nelle vite di tutti. Un racconto fuori dal coro del pessimismo e della chiusura sociale riaffermando il coraggio dell’accoglienza e la necessità di accordare la propria vita col prossimo.

Francia 2017 – 1h 47′

 VENEZIA – Si è sempre detto nella critica artistica e letteraria che il grande autore scriva (o filmi, o dipinga) sempre la stessa cosa, o ancora che ogni storia sia sempre in qualche modo autobiografica (in fondo si può parlare solo di ciò che si conosce). Questo vale senz’altro per il regista francese Robert Guediguian, il quale nel corso di una carriera quasi quarantennale (in Francia è in vendita un cofanetto con trentasei suoi film, la maggior parte mai usciti in Italia, con alcune eccezioni tra cui il recente Le nevi del Kilimanjaro) mai si è scostato da questa regola. .


Marsiglia, di cui è originario, il suo mare e i suoi dintorni come sfondo, alcuni temi fondamentali quali la lotta di classe (sì, c’è ancora chi ne parla oltre a Ken Loach!), gli scontri generazionali, la pietà per il diverso e il perdente, e soprattutto un gruppo di attori, sempre quelli, Ariane Ascaride, sua moglie, e i fidati Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan, che si alternano nella parte del borghese e dell’operaio.
In concorso a Venezia, La villa rientra perfettamente in questo schema, solo adeguandolo alla realtà dei giorni nostri.
Siamo in una piccola insenatura vicino a Marsiglia, Mejan, già borgo di pescatori, ormai irrimediabilmente snaturato da speculazioni immobiliari e turismo di massa. Nella prima scena del film c’è un vecchio signore, il proprietario appunto della magnifica villa a sbalzo sul mare, che colto da un ictus rimane tra la vita e la morte. È l’occasione per il figlio Armand di chiamare al capezzale del padre il fratello Joseph e la sorella Angele. I tre non si vedono da anni. Armand è il più giovane, rimasto, forse per paura, forse per scelta, a curare il business di famiglia, un piccolo ristorante; Joseph, il più vecchio, intellettuale e politico prossimo alla pensione, deluso da tutto e da tutti, cerca un’improbabile rivincita esistenziale nel rapporto con una ragazza di trent’anni più giovane; Angele, attrice di successo, è rimasta lontana per le continue tournée, ma anche a causa di un doloroso episodio, la morte della figlia bambina quando era in vacanza dai nonni. E come sempre accade in ogni riunione di famiglia, è il momento per ognuno di fare bilanci, di confrontarsi, forse di riavvicinarsi. C’è senz’altro in tutti un senso di sconfitta generazionale e tuttavia proprio quel ritrovarsi potrebbe essere un nuovo inizio. Anche perché, annunziato da frequenti visite per mare e per terra di militari e gendarmi, là fuori c’è un mondo che si muove, è il mondo dei migranti (dei profughi, dice Guediguian nelle note di regia, tema da cui il suo cinema non potrà d’ora in poi mai più prescindere), che finirà per materializzarsi in tre piccoli profughi siriani (esattamente speculari ai tre protagonisti) trovati nascosti in un cespuglio, che saranno immediatamente raccolti, rifocillati e ospitati. Che fare? Ricominciare da loro oppure consegnarli alla polizia? Qui Guediguian rimane sul vago, come sempre nei suoi film…
Sia ben chiaro, il regista francese a volte fa venire i nervi: quando Armand dichiara che il ristorante deve rimanere aperto perché “tutti possano avere un posto dove mangiare a buon mercato”, oppure quando si dilunga nella storia d’amore tra Angele e il giovane pescatore Benjamin (Robinson Stevenin), che l’ha seguita e amata a distanza per anni imparando a memoria passi del teatro di Claudel! E, senz’altro, i tre bambini siriani sono troppo belli, troppo facili da amare per essere veri… Eppure c’è poesia, c’è verità dappertutto, nei dialoghi, nei rimorsi, nelle speranze dei protagonisti, in quel treno che passa lassù sul viadotto a simboleggiare un mondo che corre veloce e da cui i nostri vengono forse irrimediabilmente lasciati indietro.
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Giovanni Martinii – MCmagazine 43

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