Sandome no satsujin
Giappone 2017 – 2h 4′
VENEZIA – Negli ultimi anni anche il pubblico italiano sta imparando a familiarizzare con Hirukazu Kore-eda, un cineasta conosciuto in Occidente già da una ventina d’anni con Afterlife (1998). La distribuzione di Father and Son (2013), Little Sister (2015) e Ritratto di famiglia con tempesta (2016) ha consentito a questo autore giapponese di crearsi una piccola nicchia di pubblico anche nelle nostre sale, dopo che i suoi primi lavori hanno trovato sbocco soprattutto nei nostri festival e reti televisive. .
L’ultimo, splendido lavoro di Kore-eda attesta la piena maturità di un autore che, dietro uno stile limpido apparentemente ai limiti dell’accademia, è alla ricerca di quello che si nasconde dietro le etichette e le superfici, per quello che riguarda il privato degli individui. Alla base di The Third Murder c’è un canovaccio tinto di giallo e sporcato di stilemi del sottogenere processuale: Shigemori, avvocato di successo, deve difendere Misumi, un uomo accusato di omicidio e colpevole, parrebbe, oltre ogni ragionevole dubbio. Il suo lavoro è complicato dal fatto che l’imputato, che già ha una precedente condanna per omicidio proprio dal padre giudice di Shigemori, si dichiara colpevole e rischia la pena capitale. Kore-eda supera da subito ogni discorso sul soggettivismo della verità e sulla pluralità del punto di vista: “È chiaro che qui nessuno vuole la verità: vogliamo solo quello che è meglio per il cliente” dice l’avvocato ai suoi soci che non sanno bene che pesci pigliare. Ma c’è di più: man mano che le indagini dell’avvocato proseguono, l’emergere dei dettagli della vita di questo presunto assassino diventano sempre più ricchi, sfaccettati, rivelando la complessità e la non irriducibilità di una vita intera. Per di più, alcuni di questi dettagli sono talmente somiglianti a brani della vita del suo avvocato (come il rapporto superficiale con la figlia) da offuscarne l’obbiettività di giudizio.
Insomma, ci dice Kore-eda, forse la verità non esiste perché è la natura stessa dell’uomo ad essere indeterminabile. Oltretutto, l’indole stessa dell’imputato è talmente misteriosa ed inafferrabile che ad un certo punto la regia la carica di una vaga connotazione sovrannaturale. Eppure, non c’è alcuna traccia di elementi fantastici in The Third Murder, e tutto ciò che c’è di giallo e thriller viene raggelato in una affascinante indagine sul mistero che muove le azioni dell’uomo. Misumi è ingenuo a dichiararsi colpevole su consiglio dello studio legale? Ed è veramente colpevole, o vuole immolarsi per qualche misterioso motivo, che magari si annida nel suo passato? Quel che è certo è che Shigemori col procedere delle sue indagini è sempre più scosso e disorientato, e man mano tutti gli apparati di cui la società si dota per determinare l’innocenza o meno di un uomo scoloriscono e perdono ragion d’essere. Anche perché, se già quello della verità è un concetto di cui si dimostra l’evanescenza, l’interesse personale ne compromette comunque la concretizzazione ad ogni possibile livello. Se il fine degli avvocati è palese, e quello di Misumi è quantomai oscuro, anche quello della legge e dei giudici che si dovrebbero adoperare per applicarla appare cronicamente insufficiente a misurarsi con l’elemento umano.
Da questo quadro, il cui caos Kore-eda contempla ben più lucidamente di quanto non facciano i suoi personaggi, viene fuori un film sconsolato e singolare, che avvince ma non rassicura, che non rispetta alcun canone dei generi che sembra toccare, ma appassiona come un thriller. Anche gli spettatori italiani potrebbero apprezzare!
PietroLiberati – MCmagazine 43