Il ragazzo dai pantaloni rosa

Margherita Ferri

Teresa sbaglia a lavare i pantaloni di suo figlio Andrea, rendendoli rosa: il figlio decide di indossarli comunque, non immaginando cosa gli sarebbe accaduto a scuola. I compagni iniziano a schernirlo violentemente, creando anche una pagina chiamata “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. Andrea non saprà reggere ad una situazione di bullismo così dolorosa…

Italia 2024 (121′)

Lux Padova Logo

   Da Spezzacatena a Checcacatena, cognome storpiato. Le parole possono ferire, anche molto, soprattutto se scritte sopra la lavagna della tua classe. I silenzi pure. Lo sa bene il giovane Andrea (Spezzacatena appunto, interpretato da Samuele Carrino), bravissimo a scuola e molto amato dalla madre (Claudia Pandolfi), e con un’amica speciale (Sara Ciocca) con la quale condivide la passione del cinema, ma anche molto bullizzato dal bello della scuola (Andrea Arru). Diretto da Margherita Ferri, su soggetto e sceneggiatura di Roberto Proia, Il ragazzo dai pantaloni rosa racconta uno dei primi casi riconosciuti di cyberbullismo in cui un ragazzo fu spinto a compiere un gesto irreparabile dalle canzonature dei compagni di Facebook. Galeotti furono un paio di pantaloni la cui stoffa scolorita dal lavaggio aveva assunto una colorazione rosa. Andrea decise di indossarli ugualmente in barba alle possibili reazioni di chi è ancora prigioniero di fragili stereotipi sociali basati sul mito dell’appartenenza. La storia purtroppo è tragicamente vera e sua madre Teresa Manes, le cui commoventi parole chiudono il film: “Ho sicuramente commesso degli errori, ma permettergli di indossare quei pantaloni rosa non è stato tra quelli”, nonché suo padre Tiziano (qui interpretato da Corrado Fortuna) hanno scritto un libro (Andrea oltre il pantalone rosa – edizioni Graus) cercando di spiegare perché il loro figlio si fosse tenuto tutto dentro, di fatto condannandosi a morte. Un ragazzo molto solare, il cui gesto inaspettato (si è impiccato nel 2012 nella sua casa di Roma) rimase senza spiegazione finché sua madre dopo la sua morte entrò nel suo profilo Facebook e ricostruì l’inferno che suo figlio aveva passando.

Giulia Lucchini – cinematografo.it

   Il ragazzo dai pantaloni rosa entra con garbo e rispetto nella vita di Andrea, un ragazzo come tanti, e racconta la sua storia immaginando che sia lui stesso, dall’aldilà a distanza di dodici anni dalla tragedia, a narrarla. Un espediente, quello del voice over, spesso rischioso al cinema, ma che qui diventa strumento semplice e adatto per far immediatamente entrare lo spettatore in sintonia con il protagonista della storia. Non c’è tragicità in questo racconto mai caricato di un pathos che sarebbe stato superfluo; soprattutto si percepisce con chiarezza la determinazione, tanto nel linguaggio della regia quanto il quello della scrittura, a non indugiare né drammatizzare una storia che basta in se stessa a chiarire la gravità del suo portato. La regista Margherita Ferri e lo sceneggiatore Roberto Proia riescono a veicolare con la leggerezza necessaria un contenuto forte che prima di tutto possa arrivare direttamente all’esperienza ordinaria di ogni adolescente. Non ci sono vittime dannate e predestinate né carnefici da colpevolizzare ne Il ragazzo dai pantaloni rosa, ma solo ragazzi comuni, a tratti fragili a tratti troppo coraggiosi fino a diventare drammaticamente incoscienti, osservati nella loro vita ordinaria con le gioie, i dolori e soprattutto le piccole grandi difficoltà di fronte a cui la vita comincia a porli…

Vania Amitrano – ciakmagazine.it

   

   Il ragazzo dai pantaloni rosa è un manifesto… È difficile per me poter raccontare con misura, distacco e professionalità un film che sembra avermi distrutto, dal minuto uno fino ai titoli di coda. Questo, del resto, non è un film scritto e pensato per smuovere una sensibilità più superficiale, la stessa che ci fa piangere di fronte a un film romantico o a una lettura appassionante. Qui ci troviamo di fronte a una questione più ampia, una vicenda che non mira ad assecondare la tristezza, quanto piuttosto a richiamare una coscienza collettiva, molto spesso distratta, poco interessata alle storie degli altri. Il film racconta l’infanzia di un bambino brillante, legato alla sua famiglia, all’estate in Calabria, al suono del mare, alle note che suona sul pianoforte in soggiorno, al canto che lo porta a esibirsi di fronte al Papa in persona. Poi arrivano Christian, l’invidia degli altri, le prime battute, le confidenze non ricambiate, l’amicizia con Sara, le scuole superiori, i pantaloni rosa. Analizzando il film nei suoi aspetti più tecnici, ci si trova di fronte a una sceneggiatura ben curata, seppur lineare nel racconto dei fatti, accompagnata da scelte musicali per nulla banali, che assecondano una continua accelerazione della narrazione. Claudia Pandolfi e Corrado Fortuna – madre e padre di Andrea – non cercano di rassicurare lo spettatore, il che potrebbe sembrare crudele, e forse un po’ lo è, ma è giusto così se si vuole ottenere un racconto onesto e sincero. Mi spiego meglio: lo spettatore è fin dall’inizio informato su ciò che succederà, non ci sono compromessi alla verità della realtà. E nessuno ha voglia di accettare la realtà per quello che è, non a quelle condizioni. Devi ingoiare la perdita prima ancora di assisterci. I due attori, insieme all’interpretazione di un giovane Samuele Carrino nel ruolo di Andrea, rendono sullo schermo l’incoscienza di una famiglia come le altre, tra litigi e feste di compleanno al luna park. Da una parte abbiamo un padre, con i suoi difetti e la frustrazione di poter essere un genitore più presente, dall’altra una madre, teneramente ancorata a un figlio in una simbiosi che unisce e mai allontana. Poi arriva quell’abbraccio finale, tra madre e figlio, e non puoi far niente. Stai fermo sulla tua poltrona (…) Non puoi fare altro che stare fermo, mentre il mondo di una madre si distrugge di fronte ai tuoi occhi. Ma quel mondo fa parte di tutte quelle persone che hanno conosciuto il dolore del bullismo e della perdita. Oggi quel “ragazzo dai pantaloni rosa” avrebbe avuto 27 anni: è la voce di Andrea a ricordarcelo, come promemoria che ci accompagnerà per tutto il film. La coscienza è smossa, il presentimento svanisce nella sicurezza di un finale che speri non arrivi mai. Ho iniziato questo articolo definendo Il ragazzo dai pantaloni rosa un manifesto, ma forse non basta, non è mai bastato. Il bullismo che il film affronta è solo una delle tante forme di discriminazione sociale che il nostro paese continua a portare avanti come naturale suddivisione tra cacciatori e prede. Il messaggio è chiaro: Andrea non è morto per dei pantaloni rosa, ma a causa di una società che sostiene il potere dell’esclusione.

Mohamed Maalel – vogue.it

Lascia un commento