Ferrara 1916. Fuggito dalle retrovie del fronte, il soldato semplice Ferruccio Mambrin si finge malato mentale pur di salvarsi dalla guerra. All’interno dell’ospedale manicomiale di Ferrara, il ragazzo subisce violente terapie psico-fisiche perché ritenuto un simulatore dal conservatore dottor Brighenti. Grazie alla visione innovativa del dottor Gaetano Boschi, Ferruccio viene trasferito, assieme ad altri soldati, a Villa del Seminario, luogo in cui viene curato attraverso le pionieristiche terapie del lavoro e il racconto della propria storia. Scoperto dai carabinieri, viene denunciato per diserzione e condannato a morte. Durante l’ultima notte Ferruccio tenta un’ultima fuga, ma i giorni passati a Villa del Seminario lo hanno reso un uomo nuovo che ha smesso di scappare.
Italia 2023 (100′)
Ferruccio Mambrin è un personaggio immaginario, eppure il salto d’immaginazione che lo catapulta sul grande schermo prende la rincorsa da una profonda e dolorosa aderenza alla realtà. Il protagonista de Il soldato senza nome, interpretato da Stefano Muroni nel film di Claudio Ripalti, prodotto da Controluce, potrebbe chiamarsi anche diversamente. La rappresentazione della sua vicenda, ambientata fra le pieghe della Grande guerra, è pescata fra le vite di migliaia di giovani militari seppellite dal tempo, e restituite dalla pazienza di chi prova a rintracciarle nell’inchiostro degli archivi degli ospedali psichiatrici dell’epoca. Esistenze traumatizzate dall’orrore del conflitto, in balia dei tentativi sperimentali della medicina di decifrarne i sintomi e sistematicamente racchiuse in una definizione che genera derisione, ‘scemi di guerra’. Mentre la telecamera indugia nel buio sotto i letti dei padiglioni dove dormono i pazienti, l’impressione è che quel pozzo nero possa intaccare la mente di ogni persona alle prese con l’estrema manifestazione della violenza. E poco importa se per reazione a quell’oscurità ci si lasci inghiottire o si scelga di fuggire, e quindi simulare. Il messaggio che traspare è che ogni cura non possa reggersi sulla semplificazione.
Gaetano Boschi, neurologo realmente esistito a cui presta il volto Davide Paganini, è il contraltare luminoso dell’ottuso e conservatore dottor Brighenti, impersonato da Alessio Di Clemente. L’approccio progressista del primo nella terapia a cui sottoporre i soldati afflitti da ‘nevrosi di guerra’ attraverso attività come l’ascolto, la musica, il teatro, i lavori di falegnameria e la pratica delle bocce, è un bagliore che sposta l’obiettivo dagli ambienti chiusi agli spazi aperti. I pazienti coltivano la terra a Villa del Seminario, e il medico coltiva un progetto che gradualmente s’insinuerà nella comunità scientifica di quegli anni, originariamente refrattaria alle novità. Non a caso, i suoi studi sulle conseguenze dei traumi subiti dai reduci del conflitto finiranno per gettare le basi per definire in futuro un particolare disturbo. Quello che sarà diagnosticato come da stress post-traumatico. La guerra, infine, resta sullo sfondo. Ma la rappresentazione delle ferite inflitte alla mente di chi l’ha attraversata è la testimonianza che raccontare una storia diventa più efficace delle statistiche. Che, anche se smarriti, i nomi lasciano il segno rispetto ai numeri. E, soprattutto, che non si limitano a essere parole impresse su una targhetta metallica di riconoscimento.
Giuseppe Malaspina – ferraratoday.it